La catastrofe di Nedelin: la palla di fuoco che incendiò la Guerra Fredda

Considerato il più grande incidente nel campo della missilistica, fu causato dall'avventatezza del generale sovietico Mitrofan Nedelin, diventanto l'ennesima cicatrice sul volto di una vecchia Russia impegnata nella corsa alla supremazia balistica

Screen CTYONE via YouTube
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Avvenuta il 24 ottobre 1960, la catastrofe di Nedelin, dal nome del generale sovietico Mitrofan Ivanovic Nedelin, è ancora considerata il più grave incidente mai consumatosi nel campo della missilistica. Ed è, senza dubbio alcuno, una delle tante cicatrici sul volto di quella Russia impegnata anima, corpo, e risorse nella corsa alla supremazia balistica. Per mantenere la sua capacità di deterrenza nucleare e continuare a terrorizzare con le sue armi l'avversario occidentale.

La tragedia, strettamente legata all'impazienza imposta dal capo programma, si consumò a Bajkonur, nell’attuale Repubblica del Kazakistan (ex-stato satellite sovietico, ndr). Precisamente nel cosmodromo dal quale Mosca aveva ottenuto e ottenne i suoi maggiori traguardi spaziali, dove era stato nascosto - proprio come avveniva per le grandi città fortezza nucleari - il poligono di tiro per quelle che sarebbero state le future Forze missilistiche strategiche dell'Urss. Ben distante dagli occhi indiscreti che potevano "osservare" cosa stessero producendo i misteriosi scienziati sovietici. Non è un caso, infatti, se proprio dal cuore della steppa kazaka furono sparati in orbita lo Sputnik, e il vettore Vostok 1 che ospitava a bordo Yuri Gagarin, il primo uomo che viaggiò nello spazio.

Un razzo che avrebbe cambiato il corso della storia

Eroe pluridecorato dell’Armata Rossa, il generale Nedelin era uno dei principali sostenitori dello sviluppo di vettori missilistici capaci di colpire obiettivi del Blocco Occidentale, garantendo all’Unione Sovietica l’adeguato potere di deterrenza fino a un eventuale escalation della Guerra Fredda. Per questo le sue aspirazioni, ben accolte dal segretario Nikita Chruščёv, portarono all'accelerazione nel programma che avrebbe dovuto sviluppare un missile in grado di rappresentare una minaccia reale non solo per gli avversari della Nato che si trovavano sul continente Europeo, ma anche per gli Stati Uniti.

Fino a quel momento l’unico vettore capace di raggiungere l’America continentale con il suo temibile carico nucleare, era di fatto il missile R-7: un vettore spinto da motori alimentati da kerosene e ossigeno liquido che poteva essere lanciato solo ed esclusivamente da siti dotati di grandi rampe, e che, sopratutto, necessitava una preparazione al lancio di almeno 30 ore a causa del carico dell'ossigeno liquido. Non essenzialmente il tempo adatto ad un’arma da impiegare per una contromossa (o retaliatory strike nella strategia nucleare, ndr).

Quale comandante delle neonate Forze Missilistiche Strategiche, Nedelin affidò all’OKB-586 (divisione di sviluppo, ndr), diretto da Michail Kuz'mič Jangel' la progettazione di un nuovo vettore con capacità intercontinentali che avrebbe preso il nome di R-16: un missile a due stadi propulso da un particolare carburante che poteva essere facilmente immagazzinato, cosa che avrebbe consentito ai sovietici di rifornire e armare i nuovi missili con testate nucleari, e mantenerli con i serbatoi pieni in stato di allerta per un lancio immediato.

La soddisfazione nelle premesse del progetto in via di realizzazione e l’impazienza di Nedelin nel poter mostrare al segretario Chruščёv e al mondo intero le nuove capacità dell’Unione Sovietica - si ricordi in questa sede che Nedelin svolse a sua insaputa un ruolo fondamentale nell'introdurre il razzo come vettore ideale per l’impiego di testate nucleari, aprendo definitivamente all’era dei missili balistici intercontinentali - non tenne però conto della delicatezza di certi sistemi; e della necessità essenziale di una serie di test da condurre in piena sicurezza per garantire la completa operatività di apparecchiature così delicate.

La sequenza di lancio e l’inferno di fuoco

Abitudine squisitamente sovietica è sempre stata quella di collaudare o far sfilare in concomitanza con feste nazionali le nuove armi e tecnologie raggiunte dagli scienziati del popolo. Per questo Nedelin insistette affinché il nuovo vettore R-16 fosse pronto per l’anniversario della Rivoluzione d’ottobre. Il 23 di ottobre, il primo prototipo dell’R-16 venne sistemato sulla rampa di lancio del cosmodromo di Bajkonur e la procedura di lancio avviata. L'insorgere di problemi tecnici costrinse però i sovietici ad abortire la missione. Qualcosa era andato storto e i motori non si erano accesi correttamente. La colpa - probabilmente - era dovuta a un sistema interno al missile: il sequenziatore programmabile formato da un albero a camme e da un motore passo-passo che poteva subire dei disturbi dagli sbalzi di tensione che ne avrebbero modificato la corretta sequenza.

La prudenza e la coscienziosità dell’equipe di scienziati avrebbe dovuto suggerire lo svuotamento completo dei serbatoi e il minuzioso riesame di tutte le componenti per trovare l’errore. Ma per portare a termine questo controllo ci sarebbero voluti giorni, se non settimane, e questo non poteva essere tollerato da Nedelin che aveva promesso a Chruščёv e alla Piazza Rossa il suo nuovo missile intercontinentale. Il Cremlino acconsentì dunque per una seconda prova di collaudo l’indomani. Con un’ispezione sommaria del missile ancora carico del suo particolare propellente ipergolico.

Il 24 di ottobre, con una scrivania posta a pochi passi dalla delimitazione della rampa, e una folta schiera di ingegneri, esperti militari, e rappresentanti politici che vi prendevano posto e si affollavano al seguito, la sequenza di lancio venne riprogrammata e avvita. Fu sufficiente un’istante affinché la deflagrazione - registrata da tutti i sismografi della regione - sprigionasse una palla di fuoco che portò la temperatura ad oltre 1.500 grandi centigradi. La fiammata, durata diversi minuti, venne osservata da una distanza di 50 chilometri tanto era grande e potente. E venne immortalata dal video di una telecamera di sorveglianza che mostrerà le terribili immagini di uomini avvolti dalle fiamme che scappano prima di perire in un’innaturale oscurità a contrasto della luce sprigionata dall’esplosione.

La maggior parte dei presenti verrà completamente spazzata via, incenerita. Altri moriranno per le ustioni riportate e per l’avvelenamento causato dagli agenti chimici dispersi nell’aria. Del prototipo del missile R-16 - armato per fortuna solo con il simulacro di una testata nucleare - non era rimasto nulla. La commissione d’inchiesta verificò in seguito che le violazioni nei protocolli di sicurezza potevano essere contate a decine, e che la tragedia era stata causata dalla prematura accensione dei motori del secondo stadio in seguito ad un errore di sequenziazione del sistema. Causato, come preannunciato, da uno sbalzo di tensione.

Una strage da insabbiare

Il numero dei morti non è mai stato accertato. E come sempre accade per ciò che riguarda le tragedie consumatesi oltre cortina nel pieno della della Guerra Fredda, ci si è dovuti affidare ai documenti desecretati dai russi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Questo nonostante alcune immagini catturare dagli aerei spia americani che avevano immortalato delle grosse macchie nere sul terreno, dove in precedenza si poteva distinguere una rampa di lancio.

Data la segretezza del programma e la portata irrivelabile del disastro, il Cremlino decise di insabbiare quanto era accaduto al cosmodromo di Bajkonur. Attribuendo la morte del generale Nedelin a un incidente aereo, ed elaborando versioni più o meno plausibili per la scomparsa di quelle che sono state calcolate come almeno 120 vittime totali. La cui metà non verrà mai identificata poiché completamente polverizzata al momento della deflagrazione.

Delle stesso Nedelin non rimase altro che la stella d'oro di una delle onorificenze puntualmente appuntate sul petto, parzialmente fusa, una delle sue spalline, e il suo orologio. Fermatosi nell’istante esatto dell’esplosione che ridusse in cenere tutta quella folle e scriteriata impazienza. Nedelin fu sepolto in una tomba nella necropoli delle mura del Cremlino nella Piazza Rossa a Mosca.

Venne insignito postumo della dell'Ordine del Coraggio dal presidente della nuova Federazione Russa Boris Eltsin dopo il desecretamento di ulteriori informazioni sull'accaduto nel 1999. Quando al Cremlino, be’, quando al Cremlino ormai si era convinti di aver intrapreso un’altra strada.

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