«Cuori neri» per non dimenticare

«Cuori neri» per non dimenticare

Il libro «Cuori neri» è il frutto di un lavoro durato più di tre anni, durante i quali l'autore, Luca Telese, 35 anni, giornalista parlamentare (dal 1999 è al Giornale, dove scrive soprattutto di politica, ma anche di spettacoli e cultura), ha raccolto documenti spesso inediti, scovato fotografie, compulsato atti processuali, ritrovato vecchie interviste e trasmissioni televisive, ascoltato le voci di famigliari, amici e sopravvissuti a una stagione di odio e violenza. Il risultato è che, apparentemente, in quasi 800 pagine (Sperling & Kupfer Editori, 18 euro) si snoda solo una devastante, micidiale contabilità di vite spezzate: ventuno morti, un unico filo di sangue che attraversa un decennio complesso di storia italiana. Ventuno giovani, quasi tutti di destra o comunque considerati tali, caduti nella guerra spietata degli anni di piombo: mitizzati dai loro camerati, demonizzati dai loro nemici, dimenticati da tutti gli altri.
Ma «Cuori neri» - presentato oggi alle 18 al Teatro dell’Arte di viale Alemagna dall’autore, dal nostro direttore Maurizio Belpietro, da Ignazio La Russa e da Gad Lerner - è molto di più. Prima di tutto perché ventuno ragazzi - da Ugo Venturini ai fratelli Mattei, da Sergio Ramelli a Paolo Di Nella - e altrettante storie che dicono molto sul nostro presente, per la prima volta vengono sottratte alla memoria di una parte e sono restituite alla memoria dell’intero Paese. E poi perché questo bel libro, questo libro importante, con le sue storie tragiche, sorprendenti, emblematiche, sanguinose e drammatiche, romanzo criminale degli anni di piombo, si pone l’ambizioso traguardo di far sì che quella memoria sia - finalmente - condivisa da tutti. «L'Italia degli anni Settanta non era un Paese barbaro, un manicomio o un ricovero di assassini - scrive Telese - ma fu attraversata lo stesso da una guerra civile che spesso sconfinava nella guerra di religione. Siamo stati, non molto tempo fa, talebani anche noi. E il nostro fanatismo di allora non ha nulla da invidiare a quello che ci piace contestare agli altri oggi... Solo uno stolto può pensare che le ferite non curate possano essere cicatrizzate dall'oblio». Insomma, sarebbe ora che tutti venissero disarcionati dall’odio, e che fosse svelata, smontata, distrutta ogni forma di diabolica messa a punto dei «meccanismi giustificatori», ricordate lo slogan della sinistra estrema «Uccidere un fascista non è reato»? E cosa risposero gli assassini di Ramelli al processo? «Perché lui? Non esiste una risposta precisa. Per noi era un ragazzo del Fronte della gioventù e in quel periodo rappresentava, o meglio era quello contro cui combattevamo».


Non a caso Telese premette una frase di Pier Paolo Pasolini: «Esiste oggi una forma di fascismo archeologico che poi è un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto e obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e non esisterà più».

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