La Curia può scagliare la prima pietra contro la politica?

(...) Ma i preti di quella zona sanno benissimo che fino agli anni Ottanta via Padova, che non è periferia, era un bel quartiere popolare, sano e attivo. Il degrado sociale è arrivato con l’immigrazione di massa e l’espulsione degli italiani. Corresponsabili i milanesi che affittano un monolocale a dieci magrebini? È vero, ma cosa cambia? Quei preti sanno anche che il problema non è il povero pizzaiolo egiziano venuto qui per lavorare in pace e accoltellato, ma l’accoltellatore, la sua gang dei Latin king o dei Chicago, le centinaia di spacciatori e di violenti che infestano quelle strade, i ragazzini che vanno a scuola, sì ma col coltello in tasca.
La Curia invoca «ricongiungimenti familiari» perché è «partendo dalla famiglia che si costruisce il tessuto sociale»: cioè un’ulteriore forma di incoraggiamento all’immigrazione. Ma ricongiungere chi con chi? E per venire qui a fare cosa, i pizzaioli o gli spacciatori-accoltellatori? Dietro il portone di piazza Fontana non se lo chiedono. L’editoriale ricorda «quando criminali e vittime erano italiani» e che «i nuovi arrivati si sono sostituiti ai delinquenti locali». Dovrebbe dire, invece che si sono aggiunti. Ricorda gli assassini del tabaccaio e del gioielliere uccisi in via Padova una decina d’anni fa: ma dimentica che, dopo, il quartiere non fu messo a ferro e fuoco da contrapposte etnie per rappresaglia e contro-rappresaglia.
«C’è forse qualche differenza - si chiede infine l’editoriale arcivescovile - fra il disagio violento delle gang etniche e quello più narcisistico e spietato dei giovani “bene”?». Scusi, Eminenza, ma che c’entra? Secondo lei uno giustifica l’altro o lo rende più accettabile? E a chi si riferisce, di quali «giovani “bene” parla? Guardi che siamo in via Padova. E poi sì, c’è almeno una decisiva differenza, anzi una somma: nel senso che alla violenza autoctona si aggiunge quella immigrata.

E ne abbiamo abbastanza della nostra.
Ben vengano, Eminenza, le sue preziose lezioni pastorali, ma ci coglie un dubbio: che il capo della Diocesi ambrosiana la pensi come Dario Fo che considera Sant’Ambrogio «un comunista».

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