D’Alema detta la linea su Unipol: negare tutto

Il presidente della Quercia: «Non siamo colpevoli, contro di noi una campagna a comando con l’unico scopo di indebolirci»

Luca Telese

da Roma

Negare, contrattaccare, minacciare, prima di tutto: evocare l’immagine di un attentato alla sopravvivenza del partito, stendere una barriera di cavalli di frisia davanti a quello che Romano Prodi ha definito «il bunker» dei Ds. Prima di tutto, attaccare Il Giornale, colpevole di «un attentato alla democrazia», cioè di aver pubblicato la telefonata tra Fassino e Consorte. Massimo D’Alema ieri si è presentato così, davanti ai giornalisti e al direttore de L’Unità, per un forum che verrà pubblicato oggi dal quotidiano dei Ds, con un metaforico elmetto ben calato sulla testa. Anche coloro che dentro la redazione del giornale della Quercia si aspettavano una sola parola di autocritica (quella che gli era stata chiesta non da un pericoloso estremista del centrodestra, ma da un leader della caratura di Giorgio Napolitano) sono rimasti stupiti, prima ancora che delusi. La linea del presidente dei Ds era quella già tratteggiata negli interventi dei giorni scorsi: «Non siamo colpevoli», dice D’Alema, ma piuttosto vittime di «una campagna strumentale che nasce a comando contro i Ds». L'obiettivo? «Disgregare la maggiore forza del centrosinistra» e «indebolire le prospettive» di tutta la coalizione. E questo, aggiunge D'Alema con una qualcerta dose di ottimismo, l'Unione «l'ha compreso».
Sarà davvero così? Le cose più stupefacenti, nell’esternazione del leader maximo sono almeno tre. La prima è una accortezza dialettica: il presidente dei Ds, almeno nei brani anticipati, non risponde mai in prima persona, non spiega la dinamica dei propri rapporti con Giovanni Consorte e i motivi della fiducia che gli aveva accordato, ma, con una utile traslazione, si impegna a difendere strenuamente Piero Fassino. Un artificio utilissimo agli occhi della base del partito: gli imputati sono il segretario, e con lui i Ds. D’Alema, nel caso, è un generoso difensore. Il secondo punto che salta agli occhi è la totale negazione di qualunqe considerazione di ordine politico-morale. Siccome il presidente dei Ds considera il gruppo dirigente della Quercia penalmente esente da qualsiasi rielievo giudiziario, allora la questione si esaurisce lì. Il terzo elemento è la consueta evocazione della regia occulta e sottile che sovrintenderebbe alle inchieste e all’interesse della stampa. Ad una domanda sul ruolo del Corriere della sera, il presidente dei Ds risponde: «Alcuni giornali pensano che questo scandalo possa essere un modo per guidare la politica italiana». Insomma, i soliti e provvidenziali «poteri forti».
Memorabile il passaggio su Fassino, in cui D’Alema rifiuta, in linea di principio, di entrare nel merito e nel contenuto delle frasi pronunciate dal segretario della Quercia per dire: «La verità è che siamo l'unico Paese al mondo in cui leggendo su un giornale di proprietà della famiglia del premier la trascrizione illegittima dell'intercettazione telefonica di un leader dell'opposizione, anziché scattare su e denunciare lo scandalo, l'attentato alla democrazia, si discute del contenuto della telefonata».
Quanto al resto, «questa campagna sulla vicenda Unipol è del tutto strumentale, è una campagna che nasce a comando. Non siamo colpevoli di nulla: non avevamo il compito di vigilare sulle amicizie di Consorte, né sulle sue operazioni finanziarie. Rifiutiamo l'idea grottesca che i Ds siano l'epicentro di una nuova Tangentopoli». E poi: «Siamo non solo disponibili, ma interessati - dice il presidente dei Ds - a una seria e serena discussione sulle regole, sul perché dei guasti prodotti e sulle responsabilità di un'intera classe dirigente».
Infine, la coltellata piantata nelle spalle dell’(ex?) amico Giuliano Ferrara: i Ds, fa sapere D’Alema, hanno deciso di querelarlo per le sue «gravissime accuse» su Il Foglio del 30 dicembre quando aveva chiesto al presidente della Quercia una spiegazione sui 50 milioni di Consorte. «Mi pare - commenta - che queste insinuazioni non siano riuscite a far breccia». Quanto al suo (ex?) manager preferito: «Il problema di Giovanni Consorte è dimostrare se le relazioni di carattere affaristico e finanziario che egli ha avuto personalmente con Gnutti siano lecite o illecite.

Ed è un tema su cui si pronuncerà la magistratura». Splendido, meraviglioso, ganzissimo: ma ancora troppo poco per recuperare la fiducia del popolo rosso, che alla stessa Unità invia tonnellate di lettere piene di domande che ieri non hanno trovato risposta.

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