D’Alema fa il "rosso" per affondare Veltroni

L'ex presidente diessino riunisce i suoi fedelissimi e fonda l'associazione "Red": "Sarà una risorsa per tutti, non una corrente". Noia e sbadigli alla kermesse. La profezia di Bersani: "Il Pd è come un fiume, deve avere tanti affluenti"

D’Alema fa il "rosso" per affondare Veltroni

«Red è una risorsa... non è nata per rompere le scatole a Veltroni». Ecco: due ore di assemblea, tutto qui. Anche se ripetuto - con variazioni minimali - per ben undici volte. È caduto un altro mito. Per i cronisti abituati alla «dalemologia» (la scienza che si propone lo studio di Massimo D’Alema) in tutti questi anni di morti (politiche) e risurrezioni avventurose, fra dissensi, battaglie, congressi e avventure nel post-comunismo, una sola costante era rimasta ferma. Se andavi a sentire il «leader maximo», non tornavi mai con il taccuino vuoto.
Negli anni del post-comunismo i leader del Pci-Pds-Ds si sono specializzati nel non dire più nulla, ma nel dirlo benissimo. Lui no: tra battute affilate, invenzioni intellettuali, squarci di analisi, provocazioni, sofisticate invettive (per i giornalisti, ma non solo) potevi non condividere una parola, ma sempre rimanevi incantato dalla costruzione retorica perfetta, da quello che Sabina Guzzanti ha fissato una volta per tutte nella immaginifica metafora del «Dalemone».
Anche per questo ieri, per la grande kermesse di presentazione di «Red» (Riformisti e Democratici) la nuova rivista-associazione trasversale animata dall’ex premier, si era scomodata la folla delle grandi occasioni: tutta la stampa politica, «osservatori speciali» (da Lucia Annunziata biancovestita, a Enrico «Cortina» Cisnetto) e poi parlamentari, ex parlamentari, ex socialisti (Gianni Pittella), ex Cristiano sociali (Mimmo Lucà), ex Verdi (Paola Balducci), ex Ppi (Gigi Meduri), ex ministri (Turco, Pollastrini e Bersani), ex Udeur (Nuccio Cusumano, quello svenuto per la fiducia a Prodi!), Udicini in armi (Francesco D’Onofrio). Trepidante attesa per Franco Marini (non arriva), in sua vece parla il fedele Nicodemo Oliverio, e con lui una raffica di relatori soporiferi. Ci si aspettava attori e vip: c’era solo società politica.
Brillano in prima fila il cranio lucido di Nicola Latorre (che si tormenta le unghie), il vestitino verde di Barbara Pollastrini (che si tormenta la fede), l’abito marrone di Ignazio Marino (che si tormenta le articolazioni accavallando e scavallando le gambe). Un signore baffuto in terza fila si addormenta a bocca aperta. Se non fosse per una grintosissima Livia Turco che scuote la platea parlando di qualcosa di vagamente reale... «Facciamo attenzione a criticare la tessera sociale di Tremonti perchè quando non si arriva a fine mese...». Oppure: «Il centrodestra ha vinto perchè aveva una visione della società». E infine, cazzutissima, quasi urlando: «C’è in questo paese, oggi, un clima culturale di conformismo! Si cacciano gli immigrati? Si irridono i poveri? Si violano le regole? E noi che facciamo?». Viene giù la sala, ma subito tutto torna a sopirsi nell’umidità soffocante, tra i velluti scoloriti del cinema Farnese e il lessico del Pd, costellato di astrazioni, metafore politologiche, aria fritta. La Turco resta l’unico brivido (insieme a una tosta Barbara Pollastrini). Per il resto meglio dimenticare: gli uomini - chissà perché! - parlano tutti mano nella tasca e petto in fuori alla D’Alema. Pittella invoca «la mescolanza» e avverte: «Questo non è un luogo di congiure e assalti al gruppo dirigente». Il giovane Roberto Speranza spiega: «Lo spirito dell’iniziativa è costruttivo». Persino la Turco avverte: «Parlerò con senso di responsabilità». Il «lettiano» (nel senso di Enrico) Francesco Boccia spiega: «La contaminazione fra chi viene dai ds e Margherita, soprattutto fra i giovani c’è già». Aggiunge: «Io cattolico, mi sento già socialista europeo». Pierluigi Bersani invoca «Sintesi nuove», e prefigura l’immagine messianica del Pd come «fiume che deve avere tanti affluenti».
E quando finalmente il leader arriva pensi a tutti i suoi ritorni in campo: dopo la vittoria su Veltroni nel 1994; dopo la sconfitta delle amministrative nel 1999; dopo l’anno sabbatico (peraltro mai preso) nel 2003; al varo della fondazione Italianieuropei. Ogni volta «il leader maximo» tornava con una idea nuova che accendeva i cuori dei fedelissimi. Stavolta l’idea non c’è. D’Alema ripete mille volte che «Non è una corrente», che lui vuole «allargare il campo», che «i soliti giornalisti useranno categorie vecchissime, la corrente, le pravde e il gruppo antipartito». A sentir lui Red «non è un invito a far casino», «sarà solo un luogo di confronto della società italiana», che - unica battuta - «non nasconde nel colore del suo acrostico nessuna pretesa egemonica». Spiega: «Sono tra quelli che hanno sostenuto Veltroni e non si è pentito». E poi parla di convegni, tv satellitari, reti da tendere. Per capire cosa gli passa per la testa bisognerebbe risentirlo col decoder. Nei capannelli all’uscita ti spiegano: «Walter è preoccupato».

Ma l’ennesimo duello fra veltroniani e dalemiani, ieri, al Farnese, aveva il sapore di una guerra punica. Se D’Alema dice 11 volte «Red non è una corrente» noi «iene dattilografe» (ipse dixit) dovremmo credergli. Ma se poi fosse vero, sarebbe più triste.
Luca Telese

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