D’Alema insiste: è tutta colpa di Israele

Capezzone: «Non si possono abbracciare gli estremisti»

Marianna Bartoccelli

da Roma

Il D’Alema-pensiero scorre in una lunga intervista che pubblica oggi il settimanale l’Espresso, nella speranza di poter abbassare il tono della polemica dopo le foto che lo ritraggono a braccetto con un ministro del governo libanese e con il deputato hezbollah Hussein Haji Hassan sulle macerie di guerra di Beirut. Così il ministro degli Esteri chiarisce che «non andremo in Libano a disarmare Hezbollah», che si considera «amico di Israele» ma questo non gli vieta di rimproverare il capo del governo di Ehud Olmert di aver fatto «una guerra sbagliata». Di aver avuto ragione a definirla una «reazione sproporzionata», perché «come avevo già avvertito gli israeliani, avrebbero dato più forza agli estremisti arabi». «Sono finiti in una trappola e non ne avevano valutato le conseguenze neppure sotto il profilo delle capacità militari effettive contro un nemico sfuggente e irregolare» spiega, sostenendo che Israele si è trovato di fronte ad un «fenomeno che non si risolve con la forza dell’esercito».
La guerra durata poco più di un mese potrebbe essere stata, ribatte il capo della Farnesina, «un’esperienza utile a Israele per capire che è finita una fase e per incamminarsi su una strada più efficace proprio ai fini della sua sicurezza». Ma la frase che suscita «indignazione» nel rappresentante della comunità ebraica romana è quella riportata dal Corriere della Sera, che pare sia stata detta fuori dall’ufficialità del comunicato della Farnesina. D’Alema al Cairo avrebbe detto infatti che i soldati catturati da Hezbollah erano «stati rapiti nel corso di un’azione militare». «Indecente, una frase indecente» polemizza subito Riccardo Pacifici, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma. «Fra quanto tempo leggeremo - chiede Pacifici rilanciando la polemica che dura ormai dalla visita a Beirut - che quelle erano azioni di “resistenza”? E così sarà saldato il conto con Diliberto e la sinistra estrema». L’esponente della comunità ebraica ribadisce che l’azione degli Hezbollah, l’uccisione di otto soldati e il rapimento di due, «è stato un atto di aggressione come è stata giudicata dalle diplomazie internazionali e anche dallo stesso governo italiano».
Meno polemico ma altrettanto duro, Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), si augura che «la risoluzione 1701 non resti inattuata come le precedenti 1559 e 1680 e che ciò permetta ad Israele di acquisire la certezza che in futuro non possano avere mano libera gruppi armati organizzati che dichiarano e agiscono apertamente per raggiungere l'obiettivo del suo annientamento». Gattegna invoca dal governo chiarezza di posizione e accusa: «La solidarietà e la comprensione nei confronti di Hezbollah sono fatti che si muovono in contrasto con questa chiarezza».
Più che accusare D’Alema per le sue foto con un deputato degli Hezbollah, Emanuele Fiano, deputato Ds vicino alla comunità ebraica, punta il dito contro Oliviero Diliberto che in una delle sue interviste alla stampa «evita di far leggere l'incontro di D'Alema a Beirut come un fatto occasionale, ma tenta di spiegarlo come una strategia importante che comprende il Partito di dio in un processo di democratizzazione dell’area», danneggiando così il capo della Farnesina, visto che «tratta Hezbollah come se fossero arabi che hanno diritti ma che sbagliano. Non è così: l'unico loro obiettivo è distruggere Israele».
Anche Daniele Capezzone sottosegretario della Rnp critica il ministro degli Esteri: «È un discorso stupefacente in termini di consecutio logica quello di dire la mattina “attenzione che si rafforzano gli estremisti” e il pomeriggio andarci a braccetto». Il senatore di Fi, Lucio Malan, ricorda che il deputato fotografato a braccetto di D’Alema aveva definito l'Europa «un ridicolo burattino nelle mani di Washington» e aveva ribadito: «Noi Hezbollah non riconosceremo mai lo Stato di Israele». Poi conclude ironizzando sull’incontro di Beirut: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei».
Alla fine interviene in difesa del suo vicepremier anche Romano Prodi. Lo fa dopo che Giorgio La Malfa del Pri lo chiama direttamente in causa: «La posizione del ministro degli Esteri è talmente spinta nella critica verso Israele che occorrerebbe sapere se essa è condivisa da tutto il governo ed in particolare dal presidente del Consiglio che appare, in questi frangenti, capace di maggiore equilibrio». Ed è verso il tardo pomeriggio, alla vigilia di una lunga giornata parlamentare che dovrà decidere della risoluzione Onu, che Romano Prodi esce allo scoperto: «D’Alema è andato a Beirut sud a visitare le parti più disastrate. La foto con il deputato di Hezbollah? Non capisco dov'è lo scandalo, non si è mica iscritto a Hezbollah» afferma nel corso di un notiziario serale di La7.

E quanto al rischio di uno scivolamento della politica estera italiana su posizioni antiisraeliane, paventato dall'opposizione, il premier è netto: «Non vedo dove si trova questo scivolamento. Olmert ci ha chiesto di essere là e noi ci siamo».

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