Indro Montanelli, nel letto d'ospedale dove lo avevano costretto le pallottole delle Brigate rosse, non aveva dubbi: «Voglio ringraziare i lettori che so hanno subito voluto testimoniare il loro affetto, la loro solidarietà. È per questo che mi sparano: perché sanno che io interpreto qualcosa. Le revolverate non erano rivolte a me, erano rivolte a loro. lo ero soltanto il bersaglio. La revolverata era rivolta alla gente che non si arrende». Colpirne uno per educarne cento, colpire lui per colpire tutti: «Ma questa testimonianza quattro pallottole di rivoltella le valeva tutte» disse con orgoglio. Non era una novità. Due anni prima la sede del Giornale era stata assaltata da una banda extraparlamentare di sinistra armata di pistole e di spranghe: distrussero le vetrate della portineria e di altri locali prima di essere respinti dai tipografi. Più di quarant'anni dopo non hanno risparmiato nemmeno la statua di Indro, sfregiata a colpi di vernice da centri sociali, collettivi comunisti, femministe per rimuovere, da dove è stato gambizzato dal terrorismo, il simbolo del libero pensiero. Le pallottole arrivano anche via lettera: al Giornale sono state 40. Con minacce ben precise.
Ma non ci sono solo le pallottole, ma anche le statuette di ferro come quella scagliata in faccia a Silvio Berlusconi nel dicembre 2009 in piazza del Duomo a Milano da Massimo Tartaglia e che diventò un'icona «radical kitsch» sui social dove si sprecarono commenti soddisfatti da parte di quelli che Paolo Granzotto definiva «i sinceri democratici». C'è chi scrive «Ho comprato due copie del Duomo, le regalo ai miei genitori e a mio zio che sono all'opposizione». Tartaglia fu dichiarato incapace di intendere e di volere. Ma gli odiatori che lo applaudirono no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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