Dall’eros al sangue, in scena gli eccessi del corpo umano

da Venezia

Biennale Danza atto quinto: Body&Eros. Ovvero l'eros che non c'è. Almeno per ora, dopo le prime battute della rassegna che ha tempo fino al 30 giugno. Quando, tanto per dire, riesce ancora ad arrivare lo scomunicatissimo (Catholic Anti-Defation League) Messiah Game di Felix Ruckert. Ismael Ivo, direttore del festival, aveva scelto come tema del suo triennio il corpo. Prima Body Attak, corpo elemento di offesa-difesa, poi Underskin, corpo sotto pelle con relativi processi fisiologici e psichici. Ora Body&Eros, corpo come strumento erotico. Un argomento pruriginoso ma anche un'idea difficile da realizzare. Perché se il corpo è l'oggetto l'eros è una disposizione mentale. Ma tant'è. L'apertura è consegnata al Giappone. Cioè ai seni nudi delle ragazze del gruppo Batik (Flowers Flow) che poi tornano (Shoku) in mutande con relative conseguenze. Brave, ma rétro e lontane dall'assunto. Quindi cammina e cammina. La notte per un sentiero, il pomeriggio dentro il percorso espositivo della Biennale Arte della quale la Biennale Danza è prolungamento geografico e complemento. In quanto, più arte visiva che danza, è tra le pochissime proposte sottratte a tutti i post del post. Tra muraglioni, gru monumentali e bacini misteriosi, ecco Le Tese e Le Tese delle vergini. Due spazi-teatro. La notte avvolge Fuyuki Yamakawa (Spontaneus core). Capelli lunghissimi e battiti del cuore amplificati, è accompagnato da una streap-teser. Lampi, proiezioni apocalittiche, sangue à gogo: qualcuno è andato a Casablanca. Rock che monta minaccioso mentre lei si dimena tutta nuda e chiude offrendo al pubblico il «fiore oscuro» del suo ventre. Il giorno accompagna la serba Marina Abramovic (corrente Body Art, leone d'oro per meriti sociali) che propone The Erotic Body. Contenitore non stop di una serie di installazioni-performance. Ecco una fanciulla in fiore. Chiede un bacio. Un enorme divano rosa e sagomato. È un fallo. Un ragazzo con scarpe falliche. Operazioni di autoerotismo. Un accoppiamento con commento sonoro. Un uomo-scavo-archeologico con gambe e braccia mozze e il resto no. Una guerriera con lama-cintura di castità dentro un tabernacolo.

Poi, finalmente, sulle scaglie di luce dell'acqua del bacino, un'Ofelia bionda che dondola immota tra i suoi fiori di morte. La pace. La suggestione di affetti che sarebbero piaciuti a Dante Gabriel Rossetti. Per una «Demoiselle élue» cullata dalla musica di Debussy.

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