La democrazia non si esporta, l’islam invece sì

Egregio Granzotto, nell’Angolo dal titolo «Lo stop dei minareti non porterà a una tregua d’armi», per rimarcare che gli svizzeri non hanno votato il referendum per «paura» degli immigrati islamici, ma in quanto insofferenti della loro presenza, lei fa l’esempio dell’ospite che lascia la casa sporca e in disordine. Mi sembra un paragone non calzante perché sono ben altre le cause dell’insofferenza che viene chiamata nel migliore dei modi xenofobia e nel peggiore razzismo.
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D’accordissimo con lei, caro Bonanni, ma un esempio serve per chiarire un concetto, non per rappresentarlo. È il tenace e spesso protervo atteggiamento dei gentili ospiti islamici a esibire i loro segni identitari, il punto della questione. È la predicazione degli imam fondamentalisti. È, insomma, il dichiarato o sottaciuto impegno a islamizzare il luogo dove si stanno stanziando, ovviamente accompagnato dalla dichiarata indisponibilità a occidentalizzarsi. La qual cosa significa che la fantasticata integrazione o l’invocato «dialogo» vanno a farsi benedire. Prendere atto di ciò mandando a farsi benedire, come hanno fatto gli svizzeri, la comunità islamica presente, è ritenuto dalla manica di fessi che si credono detentori della Verità, del Buono e del Giusto, razzismo. Mentre è né più né meno che legittima difesa. E se, come predica la manica di fessi di cui sopra, le comunità islamiche hanno il diritto (umano e non negoziabile) di difendere le proprie tradizioni, il proprio folcloristico modo di vivere attenendosi ai precetti della fede dei loro padri, non vedo perché non lo si possa fare anche noi. Non vedo perché quel diritto ci sia negato. Sulla questione del referendum anti-minareti, il Foglio ha riportato le dichiarazioni di Mireille Valette, «una storica intellettuale femminista e una celebre studiosa svizzera dalle impeccabili credenziali di sinistra». Mi dica, caro Bonanni, se ciò che afferma non s’addice anche all’Italia: «La Svizzera è all’inizio di un processo di islamizzazione, come Olanda e Inghilterra. Non c’è alcuna discriminazione dei musulmani. Ci sono sempre più donne velate, piscine separate, certificati medici di verginità, poligamia, apostasia, giustificazione della lapidazione \. Una visione fondamentalista della religione ha creato una situazione drammatica che sta destabilizzando le democrazie. Basta osservare come l’islam sta penetrando nelle istituzioni: preghiere nelle aziende e nelle scuole, cibo speciale nelle mense, rifiuto di corsi e materie scolastiche come letteratura e Olocausto, declino dell’eguaglianza uomo e donna. A Rotterdam ci sono avvocati che si rifiutano di alzarsi di fronte alla corte e nei teatri si riservano posti per sole donne in nome della sharia. La libertà d’espressione sull’islam e i musulmani, per i giornalisti, gli scrittori, gli artisti, i musulmani laici, è oggi in serio pericolo». Questo stato di fatto - conclude Valette - è determinato dalla cecità dei politici e degli intellettuali, «ma la gente non è cieca e quando le è stata data la possibilità di esprimersi, ha detto no all’islamismo».
Rifiutare di farsi islamizzare, di lasciare che il proprio Paese sia ridotto a califfato e mentre ciò avviene essere anche messi sotto accusa dai fautori del multiculturalismo a senso unico, direzione la Mecca, è dunque una colpa? E cosa c’entra col razzismo, sempre richiamato dai santoni del politicamente corretto? Dai Gianfranco Fini, per non fare nomi? Il razzismo ha in sé il concetto di persecuzione e nessuno di noi ha in mente di perseguitare chi che sia. Non lanciamo fatwe, noi.

Non proclamiamo jihad, non incitiamo a combattere «coloro che non credono in Allah, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati» (Corano, 9:29). E siamo noi, caro Bonanni, la «gente della Scrittura».

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