La destra culturalmente povera? Capisce la società più della sinistra

Se allarghiamo la visuale scopriamo che il Pdl è in piena fioritura intellettuale: dalle fondazioni come Magna Carta sino a riviste come Ideazione e L'Ircocervo

La destra culturalmente povera? 
Capisce la società più della sinistra

«Perché la Destra ha paura della cultura»: sotto questo titolo provocatorio un articolo di Stenio Solinas pubblicato sabato su queste pagine ha rimesso in discussione il rapporto fra intellettuali «di area» e il nuovo partito del Popolo della libertà.

Fra appropriazioni nel pantheon della sinistra, complessi di inferiorità mai superati, e derive che preferiscono il «fare» al «pensare» qual è e quale sarà la base culturale di quella vasta area di pensiero definibile come «Destra»?

Il Giornale lo ha chiesto a Mario Cervi, Alessandro Campi e Gianni Baget Bozzo. Oggi intervengono Gianfranco de Turris, Luciano Lanna e Sandro Bondi, ministro della Cultura.


di Sandro Bondi

Gli interventi di Stenio Solinas, Mario Cervi, Alessandro Campi e don Baget Bozzo, sulla cultura di Centrodestra sono di grande interesse e mi inducono a una serie di riflessioni, soprattutto avendo da pochi mesi assunto la responsabilità del ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il dibattito sui valori del Centrodestra e in particolare sui valori di Forza Italia e del nascente Partito della Libertà è di per sé un fatto positivo, espressione di vitalità e di consapevolezza del ruolo che la cultura ha per noi e più in generale per il rinnovamento del Paese.

D'altronde le critiche, specie di Stenio Solinas e di Mario Cervi non possono essere ignorate: «una maggioranza schiacciante, ma culturalmente in affanno», «un'orgia di decisionismo verbale dal quale in fondo emerge il fastidio se non il disprezzo di chi considera gli intellettuali poco più che «cacadubbi», «un distacco che diventa complesso d'inferiorità verso la cultura considerata estranea», «la sinistra è molto brava nel rivestire anche le cause più miserevoli di concetti e contenuti nobili», «gli uomini del fare devono anche saper essere uomini del dibattere». Non sarò dunque io a negare gli elementi di verità contenuti in queste affermazioni. Tuttavia, esse denotano, da un lato, un'incapacità di valutare le novità emerse in questi ultimi anni, e dall'altro, la tendenza a sovrastimare i meriti della sinistra oggi in campo culturale.

Innanzitutto, da parte mia non provo alcun fastidio per il dibattito, anzi lo cerco e lo incoraggio. La verità semmai è che la sinistra si rivela incapace di un confronto autenticamente fecondo, limitandosi a utilizzare, per lo più, le armi della strumentalizzazione, della propaganda e della falsificazione delle tesi altrui. La sinistra italiana, a mio parere, paga una crisi valoriale prima ancora che politica. Il potere residuo della sua antica egemonia culturale - in passato favorita dal disinteresse della Democrazia cristiana e dalle altre forze democratiche - si riduce ormai nell'abitudine e nell'istinto alla propaganda.

D'altronde se la sinistra fosse così brava a rivestire di concetti nobili cause miserevoli non si troverebbe nelle condizioni odierne. D'altro canto, se il Centrodestra fosse davvero tanto povero culturalmente non avrebbe la capacità, che gli è generalmente riconosciuta, di interpretare meglio della sinistra i mutamenti della società, rappresentando in modo più efficace le esigenze della maggioranza dei cittadini. Altrimenti avrebbero davvero ragione gli intellettuali del partito di Repubblica che fanno derivare il successo di Berlusconi dal controllo delle televisioni e dalla semplificazione del messaggio politico.

In realtà, il successo di Berlusconi proviene da un sistema di valori autenticamente liberali e riformatori che, tra l'altro, hanno influenzato l'intera politica europea. Il caso di Giulio Tremonti è emblematico di una cultura che fra le ragioni del suo successo non annovera di certo la semplificazione, semmai un'alta dose di complessità e di profondità dell'analisi che le ha permesso di decifrare, prevedere e fornire soluzioni ad una crisi del sistema capitalistico internazionale, nel silenzio e nell'apatia assoluta dell'intellighenzia di sinistra. Oppure, pensiamo agli studi di Marcello Pera che rappresentano uno dei punti più alti della riflessione culturale in Occidente circa le nostre radici, il pensiero liberale, la Chiesa, studi guardati con attenzione anche dall'attuale Papa.

E se allarghiamo la visuale scopriamo che il Centrodestra non è affatto un campo deserto di riflessioni culturali, anzi in questi anni il lavoro è stato notevole, per quantità e qualità. Penso al lavoro di fondazioni come Magna Carta, diretta dal senatore Gaetano Quagliariello, a Nova res pubblica e Free di Renato Brunetta, penso al settimanale di cultura, Il Domenicale, diretto da Angelo Crespi. Penso alla riviste fondate rispettivamente da Domenico Minniti e Fabrizio Cicchitto: Ideazione e Ircocervo.

Valutiamo, inoltre, il successo dei primi provvedimenti adottati dal ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini che, oltre a essere frutto della sua capacità politica, non sarebbero stati possibili senza un lungo lavorìo culturale che ha preparato un retroterra di consenso imprescindibile quando si vogliono fare grandi riforme.

Infine, per quanto riguarda il Ministero che ho la responsabilità di dirigere, mi attribuisco il piccolo grande merito di avere riportato al centro del dibattito e dell'interesse pubblico il tema della cultura, cosa che da tempo non accadeva. Rivendico in più alcune scelte qualificanti e di buon senso che cominciano ad essere apprezzate e sostenute da un'opinione pubblica sempre più attenta alle vicende del nostro patrimonio culturale.

Per educazione e sensibilità non amo dichiarare guerra a nessuno e non mi batto per promuovere una politica culturale, semplicemente, di segno rovesciato rispetto a quella che ci ha ammansito la sinistra, sempre rivolta all'addomesticamento del consenso o peggio alla mera gestione del potere. Al contrario, la mia esperienza mi induce a sostenere una cultura libera dai vincoli della politica e dal condizionamento dello Stato, una cultura che fa della libertà la sua cifra più autentica. Anche la mia recente scelta di nominare un manager per progettare un grande piano di riorganizzazione e internazionalizzazione dei musei italiani nasce dalla convinzione che sia imprescindibile un'alleanza fra arte ed economia, fra conservazione, tutela, e valorizzazione. Sono infatti convinto che oggi non possiamo rinunciare alle competenze organizzative che la cultura aziendale può fornire anche al mondo dei Beni culturali, soprattutto in un momento in cui le risorse diminuiscono, mentre il nostro immenso patrimonio artistico resta fondamentale in chiave di rilancio del Paese.

Non coltivo piccoli progetti, ma grandi ambizioni.

Spero che quei giovani da me recentemente nominati in alcuni importanti enti culturali mi aiutino e sostengano in questa magnifica ed entusiasmante impresa. E con essi tutti i cittadini e gli intellettuali che del buon senso hanno fatto la cifra del loro impegno culturale e civile.

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