Massimo Introvigne
La «crisi delle vignette» potrebbe essere occasione per rileggere - criticamente - il volume di Richard W. Bulliet, professore di Storia dellIslam alla Columbia University, dal titolo La civiltà islamico cristiana, al centro di un dibattito molto vivace negli Stati Uniti e appena tradotto in italiano da Laterza. Bulliet è segretario della Mesa, lAssociazione per gli Studi sul Medio Oriente, notoriamente filo-islamica e di cui un neo-conservatore come Martin Kramer reclama in un violento pamphlet la chiusura. Molti brani del libro di Bulliet peccano certamente di inaccettabile buonismo: la stessa espressione «civiltà islamico cristiana» è volutamente provocatoria, e assomiglia molto allEurabia prospettata dallo storico britannico Niall Ferguson e paventata a tinte fosche da Oriana Fallaci.
Eppure - considerato che nel dibattito Bulliet è chiaramente schierato da una parte - il suo libro è singolarmente onesto. Bulliet concorda con Kramer sul fatto che gli studi accademici sul Medio Oriente sono nati negli anni 1950 in America e in Francia su un presupposto sbagliato, che ha causato gravi danni scientifici e politici. A differenza dellantico «orientalismo» attaccato in modo feroce (ed eccessivo) dallo studioso palestinese e terzomondista Edward Said, i moderni studi medio-orientali, influenzati dal marxismo, distinguevano nei Paesi arabi una popolazione arretrata, che avrebbe potuto emanciparsi con lalfabetizzazione, e gli «uomini in movimento», una borghesia dinamica, laicista, spesso anticlericale, che si trovava soprattutto tra i militari e i politici nazionalisti. Poiché gli «uomini in movimento» spesso erano i soli a parlare inglese o francese, gli accademici e taluni diplomatici tendevano a prendere in considerazione soltanto loro. Uscivano così volumi che sostenevano seriamente che organizzazioni come i Fratelli Musulmani, rappresentando le masse arretrate, erano destinate a sparire mentre il nazionalismo laicista avrebbe trionfato ovunque. E, quando si fosse sentito sicuro, avrebbe abbandonato i metodi maneschi delle dittature militari e instaurato la democrazia. La «piazza araba» avrebbe finito per curarsi molto delleconomia e poco dellislam. Naturalmente, è successo esattamente il contrario: gli «uomini in movimento» si sono rivelati privi di seguito popolare, a differenza dellislam politico, che anziché scomparire è diventato maggioritario, e domina le piazze anche nei Paesi considerati più «laici».
Sorprendente sotto la penna di uno studioso di sinistra è lammissione che la Cia aveva visto meglio degli accademici in un rapporto segreto del 1957, che considerava inevitabile un dialogo tra gli Stati Uniti e lislam politico, che da una parte avrebbe potuto opporsi ai regimi nazionalisti e laicisti allora filo-sovietici, dallaltra comunque secondo la Cia in futuro era destinato ad aumentare, non diminuire, la sua presa sulla famosa «piazza araba». Purtroppo fino a pochi anni fa i diplomatici americani hanno dato retta agli accademici e non alla Cia, inseguendo gli «uomini in movimento» fino al laicissimo Chalabi che alle elezioni irachene ha preso luno per cento.
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