«DIDO AND AENEAS» Musica antica e danza hi-tech

Protagonisti Sara Connolly, Brandon Jovanovic e Marie Arnet, con la regia di Wayne McGregor

Elsa Airoldi

Se l’ultima volta è stata una Piccola Scala del 1963, con Bruno Maderna sul podio e Passaggio di Berio in abbinata, un motivo ci deve essere. Ed è che il Dido and Aeneas di Purcell è un’opera difficile da realizzare e complessa da organizzare. Di suo sarebbero 45 minuti, dal momento che ci è giunta spuria, mancante di prologo, alcune danze, scena Enea-Spirito... Dunque va rimpolpata. Forse abbinata ad altro. L’unica opera di Purcell è un sottile mix di masque britannico, opera italiana e ballet d’entrées francese. E non è facile trovare lo specialista in grado di coglierne la sottile contaminazione stilistica e il punto d’equilibrio. Tanto più che spesso, a causa della quantità delle danze, la regia è affidata a un coreografo.
Non è infatti un caso se il passato prossimo segnala la lettura danzata del re della trasgressione Mark Morris, e la trasformazione in Tantheater da parte di Sacha Waltz. Per salvare lo spirito di Purcell, con l’Haendel «italiano» l’unico operista inglese prima di Benjamin Britten, ci vuole un esperto determinato a rispettare la tradizione strumentale inglese, il ruolo portante del continuo, la delicatezza degli ariosi, la drammaticità delle arie della regina, la dimensione emotiva e intimista della vicenda ricavata dal IV dell’Eneide e molto compressa anche nel libretto (Nahum Tate).
Sebbene rappresentata nel 1689 dalle ragazze di un collegio di Chelsea, Dido è nata per la corte. E questa è un’indicazione. Esiste un libretto e anche un’edizione critica curata da Cliffort Bartlett. Ma le notizie restano poche. Tuttavia, da mercoledì 28, sul podio della Scala troviamo Christopher Hogwood, indiscussa autorità in fatto di letteratura barocca (sua la paternità dell’Academy of Ancient Music).
Uno che ha già diretto in città e che non pare proprio disposto a lasciarsi scippare l’adorato Purcell dal «cyber choreographer» Wayne McGregor. Altro inglese, direttore della Random Company, reduce dalla Biennale di Venezia, esperto di psicologia sperimentale, regista e coreografo della nostra Dido. Insomma musica antica e danza cibernetica.
Che Dido sarà? Occhi cerulei e porgersi piano, amabile e imperturbabile, Hogwood continua a puntualizzare. Intanto sarà single, il «double bill» la penalizza sempre. In secondo luogo verrà potenziata con l’aggiunta di un prologo: materiale tratto da Fairy Queen e altri brani dell’autore esemplificativi dei suoi stili. «Il prologo che ruota attorno al fulcro emotivo dalla Chachony e dalla successiva Pavan, indica una precisa dimensione psicologica. Non si tratta di una suite barocca ma di un’introduzione emotiva».
Con le aggiunte arriviamo ai 70 minuti. E gli strumenti originali? «Vanno benissimo anche quelli classico-romantici della Scala. Perché il punto è la prassi esecutiva, che i professori hanno recepito immediatamente. Nella trentina di strumenti collocati su una pedana soprelevata a livello platea mancano i celli, assenti in partitura. Viola da gamba e tiorba si aggiungono a cembalo e organo per la realizzazione del basso continuo». Anche i cantanti (Sarah Connolly è Dido, Brandon Jovanovic Aeneas e Marie Arnet Belinda) sono tradizionali, ma hanno colto al volo lo spirito dell’opera. McGregor vorrebbe dire mille cose. La sua Didone, danzata nel prologo e nei brani di raccordo, va sulla musica. Ma non ne asseconda gli sitlemi. È sobria, se non proprio minimal. In ogni caso moderna.

Anche lui elogia la duttilità degli scaligeri, 17 elementi incluso il guest Robert Tewsley. Dido and Aeneas (scene di Hildegard Bechtler e costumi di Fotini Dimou) avrà dunque due anime, la filologia di Hogwood e la trasposizione di McGregor. E questa è la vera scommessa.

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