“Il cibo come modo per prendersi cura di sé”. Intervista al Dottor Angelo Capasso sulla Giornata Mondiale dell’Alimentazione

In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, che si celebra oggi, abbiamo intervistato lo psicoterapeuta Angelo Capasso per parlare del rapporto tra emozioni e cibo, importante per contrastare i disturbi alimentai più comuni

“Il cibo come modo per prendersi cura di sé”. Intervista al Dottor Angelo Capasso sulla Giornata Mondiale dell’Alimentazione

Il 16 ottobre si celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione che diventa ogni anno l’occasione per sensibilizzare le persone ad un rapporto sano e vitale con il cibo.

Quando si parla di rapporto con il cibo è inevitabile fare riferimento a tutte le abitudini scorrette che si assumono o alle famigerate “mode culinarie” che dilagano sui social che spesso risultano dannose per la salute dell’organismo oltre che ad aderire a standard sociali secondo i quali tutti dovrebbero essere magri e belli. Questi canoni estetici di perfezionismo alimentano un rapporto non sano con il cibo. Ad esserne maggiormente colpiti sono gli adolescenti.

Secondo uno studio approfondito sulle abitudini alimentari degli italiani pubblicato su Jama Pediatric, in Italia 1 adolescente su 3 manifesta abitudini alimentari disordinate, mentre 1 su 5 è il dato a livello mondiale. Di fronte a questi dati preoccupanti e allarmanti, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, parliamo di disturbi alimentari e di quanto un rapporto non equilibrato con il cibo può minare il proprio benessere psicologico. Ne parliamo con il Dottor Angelo Capasso, psicoterapeuta sistemico- relazionale e Manager Clinico di Unobravo.

Dottor Capasso, che legame esiste tra cibo e benessere psicologico?

Non è concepibile il benessere psicologico senza prendere in considerazione il cibo, come non lo sarebbe senza acqua o riposo. Insieme a sete e sonno, la fame occupa le fondamenta della piramide di Maslow, la scala gerarchica dei bisogni teorizzata dallo psicologo americano per delineare un modello motivazionale dello sviluppo umano. Dal momento che l’assunzione di cibo è vitale, questo comportamento è regolato dal circuito nervoso attraverso meccanismi sia omeostatici, per equilibrare il nostro fabbisogno energetico quotidiano, sia edonistici, per spingerci ad attivarci per soddisfare quel bisogno. Il cibo è omeostasi, il cibo è piacere, è così per tutti gli esseri viventi. Ma per gli umani è anche altro, il cibo è relazione, che parte dal nutrimento del cordone ombelicale fino a svilupparsi nella forma adulta di convivialità, che coniuga i bisogni fisiologici a quelli sociali. Ed è allora che il cibo diventa cultura, tradizione, storia e storie. Dal momento che avere cura di sé stessi e avere consapevolezza sono due dimensioni del benessere psicologico, nutrire il proprio benessere psicologico significa avere consapevolezza di cosa e come mangiamo, degli effetti che l’introduzione (o la mancanza) dei nutrienti del cibo hanno sul nostro organismo, fisiologicamente e psicologicamente, e degli effetti che le nostre emozioni hanno sulla scelta di cosa, come e quando mangiamo.

La Giornata Mondiale dell’Alimentazione è l’occasione per discutere sui disturbi alimentari odierni. Qual è il quadro della situazione in Italia?

Secondo una recente ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2022 erano circa 9.000 i pazienti in cura presso i centri di cura accreditati con SSN che si occupano di disturbi del comportamento alimentare, un numero molto inferiore rispetto ai 3 milioni di persone che, purtroppo, non arrivano alle cure necessarie. L’incidenza sulla popolazione sta anche aumentando: solitamente riscontrato in adolescenti e giovani adulti (14-25 anni), i dati degli ultimi anni post-pandemia raccontano uno scenario nuovo che coinvolge ragazzi e ragazze sotto i tredici anni, ma anche adulti tra i 30 e i 39 anni.

Quanto e in che misura le nuove tecnologie e i social influenzano negativamente il rapporto con il cibo?

Tecnologie e social network sono strumenti, sicuramente potentissimi e che permeano la società contemporanea, ma pur sempre strumenti. In quanto tali possono avere sia connotazione negativa che positiva, a seconda delle risorse interiori e delle fragilità di chi li utilizza: pertanto possono avere un riflesso sul modo in cui pensiamo e sentiamo il cibo, quindi anche come ci rapportiamo ad esso. Le app che permettono di tracciare il peso con un corretto indice di massa corporea o quelle che contano le calorie che bruci e assumi possono essere utili per auto-monitorarsi con frequenza regolare, ma possono diventare pericolose e deleterie nelle mani di persone che stanno vivendo disagi correlati ai temi del controllo del peso e dell’assunzione di calorie. I social network possono diventare spazi di riflessione e conoscenza se si entra in un circuito virtuoso di divulgatori scientifici e competenti influencer culinari; tuttavia con un like di troppo è facile cadere nel vortice vizioso dell’hashtag #foodporn e i contenuti ad esso correlati possono diventare un trigger per chi già soffre di binge eating o bulimia nervosa. Promuovendo rischiosi comportamenti a favore dell’anoressia, le community pro Ana alimentano un sentimento di appartenenza e, paradossalmente, di sfida in quelle ragazze che stanno iniziando a sperimentare strategie rischiose di restrizione e di eliminazione, di fatto rinforzando queste condotte. Tuttavia, più che di influenza, parlerei di questi strumenti come degli attrattori e amplificatori di comportamenti e situazioni già esistenti in nuce.

Perché le donne sono maggiormente vittime dei disturbi alimentari?

La risposta a questa domanda necessita di una premessa: la diffusione e l’incidenza di una psicopatologia varia nel corso dei decenni anche in base ai contesti e ai periodi storici, perché cambiano i fattori culturali e le pressioni sociali che fanno leva sull’individuo. Superata l’epoca del nevrotico senso di colpa, la narcisistica società contemporanea veicola valori legati alla performance, al corpo, all’immagine, nodi esistenziali importanti che diventano patogeni per le donne che soffrono di anoressia e bulimia. Negli ultimi anni, il gap di prevalenza tra i due generi si sta accorciando, sia dal punto di vista valoriale che epidemiologico, inoltre non tutti i DCA hanno gli stessi tassi di diffusione: il numero di uomini con disturbo da binge-eating è analogo al numero di donne che ne soffrono e l’ortoressia, ovvero l’attenzione patologica per l’alimentazione sana, ha un’incidenza maggiore nella popolazione maschile.

Quali sono i campanelli d’allarme che segnalano un rapporto non sano con il cibo?

Controllo e corporeità solitamente sono i nuclei intorno ai quali si sviluppano i più diffusi DCA, con il corpo che diventa il campo di una battaglia psicofisica tra istanze contrapposte. L’adolescenza, in quanto periodo della vita caratterizzato da eccessi, estremizzazioni, tumulti emotivi e cambiamenti fisici a volte destabilizzanti, diventa il periodo del ciclo vitale che più facilmente può esacerbare questo tipo di sofferenze. Spesso nelle famiglie in cui un figlio sviluppa un disturbo del comportamento, la semantica conversazionale ruota intorno a tematiche di potere con una continua lotta per la definizione della relazione, dove ciò che conta davvero non è ciò di cui si sta discutendo, ma solo chi prevarrà nella discussione. La rivista Jama Pediatric ha dichiarato che in Italia un adolescente su tre manifesta abitudini alimentari disordinate, un numero da attenzionare dal momento che i comportamenti alimentari disordinati possono rappresentare uno stadio immediatamente precedente all’esordio di un disturbo del comportamento alimentare. Spostandoci sul piano della psicopatologia della vita quotidiana, tutti noi nella vita possiamo provare difficoltà emotive legate al controllo o al discontrollo, a una routine impegnativa che non ci permette di avere cura della qualità e della regolarità di pasti o a situazioni stressanti che ci spingono a cercare gratificazioni immediate nel comfort food.

Che cos’è la fame emotiva?

La fame è una sensazione viscerale determinata dal bisogno del cibo, un meccanismo fisiologico in cui si intrecciano processi emotivi, motivazionali e cognitivi. Dunque, in quanto regolare funzione biologica, la fame ha sempre una componente emotiva, ma nella fame emotiva (o nervosa) la sua finalità è bypassata e non attiene al bisogno fisico di nutrirsi, bensì esclusivamente alla necessità di gratificarsi in risposta a situazioni stressanti, di vuoto o dolorose, nel tentativo di zittire emozioni spiacevoli. Tuttavia, essa rappresenta un palliativo di scarsa durata, dal momento che non ha agito sulla reale causa del disagio, ragion per cui può degenerare in frustrazione e senso di colpa, che potrebbero alimentare ulteriormente la fame emotiva.

Come favorire un rapporto sereno con il cibo sin dall’infanzia?

L’assunzione di cibo per gli essere umani non è un mero meccanismo della macchina-corpo, ma ha importanti connotazioni relazionali. Per questo motivo bisognerebbe tener sempre conto sia della componente educativa del pasto, sia della componente affettiva del nutrimento, tra loro interconnesse. Una delle principali forme di apprendimento è quella per imitazione, per cui il rapporto che i genitori e i familiari hanno con il momento del pasto funge da imprinting per come, quando, cosa i figli mangeranno (e non mangeranno), anche se ovviamente non è l’unica variabile implicata. Nutrire è un atto che non veicola soltanto il fabbisogno energetico attraverso il soddisfacimento del bisogno della fame, è anche un momento di cura e relazione che nutre emotivamente il bambino.

Come e in che misura un percorso terapeutico può essere utile nel trattamento dei disturbi alimentari?

Nella loro varietà e costellazione sintomatologica, i DCA sono accomunati dal rappresentare delle strategie disadattive, adottate inconsapevolmente dalle persone per gestire emozioni e conflitti. Un percorso terapeutico è necessario per dare un significato a ciò che i sintomi stanno comunicando e trovare, grazie alla relazione di cura, nuove strategie di coping.

Tuttavia, a seconda del livello di gravità della psicopatologia, può essere necessario inserire il percorso all’interno di un progetto terapeutico più ampio e multidisciplinare, che contempli la possibilità della guida di un nutrizionista e del supporto di uno psichiatra.

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