Dall'11 al 20 settembre truppe statunitensi saranno sul suolo dell'Armenia per esercitazioni militari congiunte con le truppe di Erevan, le prime nella storia del piccolo Paese caucasico ad essere svolte in sinergia con la superpotenza a stelle e strisce. L'esercitazione Eagle Partner 2023 formalmente è basata su un piano congiunto di addestramento dei militari armeni alla partecipazione alle task force internazionali di mantenimento della pace con gli standard Onu. Di fatto, però, cadono in un contesto delicato sul fronte geopolitico e in un momento topico per la situazione interna al Paese e alla regione.
Da diverse settimane l'Armenia intraprende un braccio di ferro con l'Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karabakh dopo che Baku ha di fatto imposto un embargo ai rifornimenti passanti sul corridoio di Lachin, arrivando a un passo dall'isolare completamente la regione contesa e venendo accusato da Erevan di provocare una crisi umanitaria e di spingere per un nuovo conflitto a tre anni dalla breve guerra che gli azeri vinsero nel 2020, avanzando nel Karabach.
Truppe americane si troveranno di fatto più vicine che mai alla Russia dall'inizio della guerra in Ucraina. E lo faranno muovendosi in un Paese che Mosca ha sempre ritenuto un Paese protetto, se non addirittura satellite. Ma che di fronte alla crescente aggressività azera nella terra contesa e alla sproporzione di forze teme che le mosse della Russia in Ucraina distolgano l'operato di peackeeping di Mosca nella regione. Di recente il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha espresso posizioni durissime sulla Russia nel corso di un'intervista a La Repubblica. Ricordando che "in Nagorno-Karabakh è in corso una pulizia etnica" a cui rischiano di aggiungersi nuovi versanti della persecuzione anticristiana, Pashinyan ha aggiunto che "la nostra dipendenza dalla Russia per la sicurezza è stata un errore strategico", suscitando le ire di Mosca.
Pochi giorni dopo, annunciare via ministero della Difesa le esercitazioni sembra una mossa per ottenere una sana equidistanza tra Russia e Stati Uniti e di provare a rompere l'impasse che vede Erevan costretta ad inseguire l'Azerbaijan nei rapporti con le grandi potenze, che l'Armenia non può lusingare con un peso considerevole su affari, energia, investimenti. Il governo di Vladimir Putin aveva velatamente minacciato l'Armenia di non "diventare uno strumento dell'Occidente per eliminare la Russia" e di fronte all'annuncio delle esercitazioni ha reagito duramente.
"Mosca analizzerà a fondo questa situazione e ne seguirà lo sviluppo", ha dichiarato oggi il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, aggiungendo che la Russia ritiene "preoccupanti" gli annunci sulle esercitazioni e il fatto che Erevan ha promesso tramite il viceministro degli Esteri armeno Vahan Kostanyan di aumentare la sua collaborazione con la Nato. Se tre indizi fanno una prova, Erevan ha pure iniziato a smarcarsi dalla Russia anche sul fronte dell'invio di aiuti all'Ucraina. Non armi, ovviamente, ma aiuti umanitari. L'Armenia ha profittato notevolmente, sul fronte economico, delle triangolazioni volte a aggirare le sanzioni dopo l'invasione, guadagnando nel 2022 un +11% di crescita del Pil reale grazie soprattutto al suo ruolo di cerniera con la Russia, ma non ha mai sostenuto Mosca nella sua avventura.
La Russia, peraltro, schiera 2mila truppe in Armenia come forza d'interposizione con gli azeri che Erevan non può permettersi di infastidire o irritare, pena il rischio di sguarnimento di fronte a nuove dimostrazioni di assertività azera.
Dunque se da un lato è possibile che Erevan si distacchi crescentemente da Mosca, al contempo non siamo alle porte di una nuova Georgia desiderosa di slittare a Ovest. La Russia, questo è certo, perde però posizioni nel Caucaso. Un'altra delle conseguenze a lungo termine della sciagurata decisione di invadere l'Ucraina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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