IL DIRITTO DI CONOSCERE

Per aver dato via libera a una «indagine conoscitiva» sull’applicazione della legge 194 (aborto), Pier Ferdinando Casini è stato flagellato da critiche asperrime. Si afferma, a sinistra, che con questa decisione il Presidente della Camera ha tradito l’imparzialità del suo ruolo e rivestito i panni di leader dell’Udc. Gli si imputa la volontà di cancellare, per via traversa, la 194. Gli si rinfaccia di essere un illusionista in malafede, che tenta «un trucco sulla pelle delle donne». A questa demonizzazione d’un personaggio che l’opposizione ha applaudito con slancio purché dicesse qualcosa di antiberlusconiano fanno riscontro le approvazioni di centrodestra: che possono essere ritenute doverose e prevedibili.
Limito perciò il mio commento alle voci contrarie. Una prima osservazione: è piuttosto strana questa improvvisa allergia di sinistra a una «indagine conoscitiva»: che non è un diktat né una legge ad personam. Personalmente - posso sbagliare, intendiamoci - non colloco ai primi posti, nelle mie preferenze istituzionali, né le «indagini conoscitive» né le «commissioni d’inchiesta» parlamentari. Ho la convinzione che il più delle volte lascino in eredità ai cittadini montagne di carte desolantemente prive d’utilità pratica.
Ero di questo parere anche quando la sinistra si batteva un giorno sì e un giorno sì perché Camera o Senato istituissero una commissione d’inchiesta sui più svariati temi. Non si lasciavano dissuadere, i progressisti, nemmeno dal fatto che le commissioni d’inchiesta - tipico il caso della P 2 - potessero intrecciarsi e scontrarsi con procedure giudiziarie in corso. Cosicché esisteva il pericolo di pronunce difformi. Il che è puntualmente accaduto con la P 2 che secondo la Commissione parlamentare fu l’incubatrice di tutti i crimini italiani, e secondo la giustizia ordinaria era un comitato d’affari.
Non c’è in prospettiva nessun inconveniente di questo genere nell’«indagine conoscitiva» autorizzata da Casini. Che riguarda una tematica che più delicata e controversa non potrebbe essere: dal punto di vista medico, dal punto di vista sociale, dal punto di vista etico, dal punto di vista religioso. Per chiarezza preciso che considero la 194 una tappa istituzionale che non consente retromarce, quale che sia in proposito la posizione della Chiesa. Ma una legge che tocca nervi così scoperti di coscienza e aspetti così sofisticati di conoscenza scientifica è forse suscettibile d’essere migliorata o nei contenuti o nella sua applicazione. Che male c’è nel verificare sul campo il funzionamento della legge? Ma il tempo è poco - le conclusioni dovranno essere presentate entro il 31 gennaio - e pertanto, ironizza il segretario dei radicali Daniele Capezzone, «dinanzi a una simile cialtroneria l’unica cosa che si può dire è che si vuole mettere in piedi una passerella propagandistica». Vorrei chiedere al baldo giovanotto se, secondo lui, la Commissione sulla P 2 o la Commissione stragi erano scevre d’ogni risvolto elettorale e propagandistico. A mio avviso ne erano intrise fin nel profondo. Senza dubbio il tempo è poco, ma credo sia una cattiva abitudine italiana quella di valutare la bontà d’un risultato intellettuale in base alla sua mole verbale e cartacea.

Vogliamo dirlo in termini cinici? Spero che l’indagine in fieri accerti qualcosa di concreto e di solido: per il funzionamento delle misure di prevenzione dell’aborto, per l’assistenza medica e il reinserimento sociale, qualora ci sia stato un trauma, della donna che abortisce. Ma se per avventura l’indagine dovesse rivelarsi sterile, meglio che a questo si arrivi in fretta, senza immani, inutili e interminabili esibizioni di burocratico gigantismo.

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