Dobbiamo salvare gli italiani di Lampedusa

I residenti costretti a subire una tragedia immane tra sporcizia, paura e angoscia. Spiagge ricoperte da escrementi, banchine trasformate in putridi accampamenti, bivacchi ovunque. E il mare è una cloaca

Dobbiamo salvare 
gli italiani di Lampedusa

Adesso però è il momento di cambiare visuale. L’eterna e irrisolta «Emergenza Lampedusa», che dagli anni Ottanta siamo soliti inquadrare con le spalle all’isola e lo sguardo verso il mare, va improvvisamente ribaltata. Rotazione di sensibilità: voltiamoci  e guardiamo la povera isola. Lo spettacolo è spettrale: una chiatta sudicia e immonda che va lentamente alla deriva. Un immane naufragio di terra ferma. Migranti di varia provenienza e varia motivazione, anche dubbia motivazione, bivaccano allo stato brado in tutte le aree praticabili.

L’umanità presenta la sua faccia più penosa e più derelitta, più abbruttita e più miserabile. In ogni angolo, le scorie di questa grande discarica mediterranea: spiagge lordate da rifiuti ed escrementi, moli e banchine divenuti accampamenti putridi e mefitici, il mare limpido ridotto a ripugnante cloaca. Più del Giappone, con tutto il rispetto, è questo il presepe veritiero e angosciante dell’Apocalisse. Ovunque, il vuoto insopportabile di una grande assente: la dignità. Da trent’anni parliamo degli arrivi e degli sbarchi. Da trent’anni pensiamo agli immigrati. Oggi ci troviamo di fronte l’altra «Emergenza Lampedusa». L’emergenza di chi ci vive e non riesce più a viverci. L’emergenza sanitaria, igienica, economica. Le donne si incatenano al porto, i pescatori si preparano al fai-da-te dei respingimenti, chi ha subito i furti grida rancore.

Ma tu guarda: anche gli indigeni, nel loro piccolo, ogni tanto sbarellano. Che vogliamo fare, noi continentali abituati a pontificare su accoglienza e mani tese? La prima cosa da fare, doverosa e tassativa, è evitare a chiunque, qui, nei convegni vellutati e nei talk-show intelligenti, di marchiare la gente del posto come egoista. Sarebbe un’enorme vergogna. Se c’è un popolo, un piccolissimo popolo in mezzo al mare, che negli ultimi trent’anni ha dato prova di generosità, sensibilità, ospitalità, questo è il popolo di Lampedusa. Da premio Nobel per la Pace. Al di là di qualche legittima preoccupazione per la ricaduta sul turismo, unica industria funzionante sull’isola, la gente di Lampedusa ha sempre offerto bella umanità. Nei fatti, non a parole.

Diciamo l’esatto contrario di quello che succede abitualmente qui, al largo e alla larga dal problema. Se adesso questi italiani - suona strano chiamarli così? - lanciano un accorato Sos, nessuno può permettersi di dare loro torto. Sono isolani da sempre, si sentono più isolati di sempre. Mentre noi discutiamo e facciamo accademia, lì si ritrovano ladri in casa e latrine in giardino. Lo sfascio e la sventura si stanno infiltrando da tutte le fessure. Respirano la fine del mondo. E istintivamente reagiscono. Davvero qualcuno se la sente di censurarli? Anche lei, signor presidente Napolitano: se la sente di bacchettarli per egoismo? In questi momenti infernali, la gente di Lampedusa non ha bisogno di giudizi morali e di lezioni umanitarie. Ha bisogno di aiuto. Punto. Certo tutti sappiamo che basterebbe un deciso intervento dell’Unione europea, di questa poetica entità che inoculiamo ai nostri bambini già nelle prime classi elementari, per risolvere in poche settimane la questione. Lampedusa è piccola, non ci vuole molto a spazzarla e a disinfettarla. Quanto all’esodo dei profughi, non è più pensabile lasciarne arrivare altri: va detto chiaro e tondo anche ai più buonisti di noi, perché diventerebbe folle demagogia ospitare creature umane in quelle condizioni.

Non è più accoglienza: è semplicemente crimine. E comunque, qualunque flusso andrebbe diviso equamente in parti uguali: come in una vera famiglia, come sta scritto nella leggiadra poesia che compiaciuti e retorici insegniamo ai nostri piccoli europei di domani. Purtroppo sappiamo tutti come funziona l’Europa: è viva e presente quando deve imporci la taglia delle melanzane, misteriosamente sparisce quando scoppia una grana. Così, almeno in questa fase, converrà farcene una ragione: l’angoscia della gente di Lampedusa è affare tutto nostro. L’Europa, eventualmente, sarà presentissima ed efficientissima dopo, nel rimproverarci perché non abbiamo rispettato il protocollo igienico durante le operazioni di sbarco (notato un carabiniere senza mascherina, italiani vergogna). Dobbiamo arrangiarci. Come sempre. E siccome tra le tante dicerie su di noi c’è proprio questa, che comunque sappiamo arrangiarci, vediamo di dimostrarlo una volta di più.

Lampedusa va salvata dall’affondamento. L’isola e la sua gente devono ritrovare un po’ di pace, qualcosa che somigli all’antica armonia. Anche questa è un’operazione umanitaria di stringente priorità.

Bisogna muoversi subito. Abbiamo dato prove stupende in tutte le catastrofi del mondo, aiutando disperati di qualunque razza. Vogliamo dire che i nostri connazionali di Lampedusa sono figli di una disperazione minore?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica