«Don Gnocchi? Aveva la calligrafia di un santo»

«La grafia di don Carlo Gnocchi è la grafia di un santo. Il paragone più immediato che posso fare è quello con la beata madre Teresa di Calcutta». Evi Crotti, grafologa, psicopedagogista, analista e terapeuta dell'età evolutiva è la fondatrice e direttrice della prima scuola di grafologia ispirata alle intuizioni di Padre Girolamo Moretti. Proprio in questi giorni hanno preso il via a Milano i corsi annuali della scuola (www.evicrotti.com), patrocinati dalla Regione Lomnardia. La studiosa, che collabora anche con il sito Internet del nostro quotidiano aiutando i genitori a leggere e interpretare i disegni dei figli, ha analizzato gli scritti autografi del sacerdote che domenica sarà proclamato beato in piazza Duomo.
«Era cresciuto in una famiglia serena e aveva avuto tutto l’amore desiderabile da un bambino - spiega al Giornale Evi Crotti -. Era un bimbo vivace, sensibilissimo e irrequieto. Il padre muore quando Carlo ha due anni e nella sua scrittura si nota questa carenza di paternità: le lettere iniziali maiuscole della firma evocano la figura paterna». Secondo la studiosa, la «mancanza fisica o psichica della figura del padre è espressa dalla grandezza di queste lettere».
Il futuro beato, continua la grafologa, «ha senza dubbio traslato la paternità sui suoi mutilatini come proiezione di una paternità a sua volta “mutilata”. Anch’egli, infatti, come i ragazzi dei suoi alpini, è stato “ferito” dalla sorte. Ma la sofferenza vissuta per la scomparsa del padre, in una natura come la sua sensibile, aperta, e affettivamente compartecipativa verso il dolore, lo ha reso capace di vivere in modo empatico l’umanità. Ha saputo trasformare tutto in un atto di solidarietà umana».
La studiosa fa osservare come «il gesto fluido, il movimento scorrevole, i legamenti eleganti, la morbidezza e la chiarezza delle forme, sono tutti sinonimo di una personalità che esprime spontaneità di un vissuto interiore che si proietta all’esterno come atto d’amore gratuito e sincero. Come un padre amorevole - spiega ancora Evi Crotti - si è adoperato per lenire le sofferenze dei suoi ragazzi con un’educazione anche correttiva, ma sempre consapevole che nell’età della crescita l’unica medicina è quella di essere e sentirsi amato».
Proprio in questa straordinaria capacità di donare tutto se stesso, la grafologa individua il contatto tra don Carlo Gnocchi e madre Teresa di Calcutta: «Entrambe - conferma la studiosa - sono persone d’azione: sia madre Teresa che don Gnocchi si chinano sulla sofferenza altrui donando tutto di sé. E don Carlo ha voluto donare anche i suoi occhi, proprio per regalare la luce della sua anima».
Dalla scrittura del beato emerge anche la solidità della sua fede. «Una fede che aveva fondamenti solidissimi e non era legata alle emozioni. Questa solidità veniva trasmessa anche ai ragazzi. Negli occhi dei bambini che soffrivano don Gnocchi vedeva lo sguardo di Gesù». Molto interessante anche un’altra annotazione che l’esperta grafologa trae dall’analisi della scrittura di don Carlo: «Era un santo ma non si accorgeva di esserlo e non si comportava con la consapevolezza di esserlo».

«La sua grafia sciolta, con ritmi proporzionati, è il timbro grafico della sua armonia interiore ed esteriore. È un esempio, quello del suo altruismo e della sua generosità, che non subisce le mode e che ha dunque un grande valore oggi, in un mondo caratterizzato da una cultura egocentrica e individualista».

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