Donadoni: "A testa alta". Ma Abete già lo caccia perfino dalla sala stampa

Il destino del ct è segnato, anche se il presidente del Coni Petrucci lo difende. La Figc ha già deciso il ritorno di Lippi: debutto in agosto contro l’Austria

Donadoni: "A testa alta". Ma Abete già lo caccia perfino dalla sala stampa

Vienna - L’ha già cacciato fuori dalla porta della sala stampa. Figuratevi quanto ci metterà a metterlo alla porta della nazionale. Giancarlo Abete, presidente federale, dopo la sagra dei rigori ha inaugurato la sagra del buon gusto. Ha lasciato parlare Donadoni e si è presentato quando il ct stava per concludere. Poi si è assestato il sorriso d’ordinanza, ha atteso che il ct si alzasse dalla sedia, anzi scomparisse dietro la porta della sala stampa gentilmente invitato («Vai, vai, non stare lì») dall’ufficio stampa Antonello Valentini. Donadoni ha avuto qualche attimo di esitazione sulla porta. Ed allora Abete si è zittito. «Vai! vai! Aspetti a parlare presidente», ha ripetuto la solita voce.

Nella sagra del bon ton calcistico, una scenetta che mancava. Non si finisce mai di imparare. E a quel punto Abete ha detto per non dire, ha fatto intendere ma ,questa volta sì con un pizzico di buon gusto, ha chiesto tempo. «Qualche giorno e faremo insieme le valutazioni. Con serenità».

Naturalmente non gli è sfuggito alcunché che potesse indurre ad una assoluzione ed a una conferma per Donadoni. Anche se la guerriglia tra Coni e federazione, circa il ct, è stata ben illustrata dalla parole di Petrucci che s’era presentato in tribuna. «Donadoni non ha alcuna colpa per i calci di rigore. Quando è così devi accettare il verdetto. Sono contro i processi», ha detto il presidente del Coni subito dopo la fine della sfortunata lotteria, perché Abete intendesse.

E il presidente del calcio ha inteso, senza far passi avanti, neppure indietro. «Ci sarà l’occasione per ripercorrere tutta la storia con Donadoni, io ho il dovere di svolgere un ruolo equilibrato. Avevamo parlato anche prima di questa partita, dovremo vederci e riflettere». Riflettere per separarci, non certo per andare avanti. Questo, Abete, non l’ha detto. Ma l’ha fatto intendere tra «se», «ma», «forse». «Ci sono cicli che finiscono, come quello francese. Bisognerà capire, con il ct e con il gruppo dirigente federale, se il problema è strutturale anche per noi. Il bilancio è positivo per le qualità del gruppo, la coesione, il comportamento, ma siamo tutti consapevoli che le nostre capacità non sono attestate a livelli massimi. Stavolta i rigori ci hanno penalizzato». Insomma tanto fumo per evitare l’immediato de profundis.

E Donadoni, una volta di più, è apparso stritolato dalla lontananza di Abete, che ha già scelto Lippi, e dai risultati che non l’hanno aiutato. Il ct parla di bilancio positivo. «Hanno dato tutto, ho detto ai giocatori che possono andare a testa alta. Essere orgogliosi. Ho vissuto con loro una esperienza esaltante, emozionante, produttiva, abbiamo fatto quello che era nella nostra capacità». E così dicendo intende parlare anche della sua. «Certo - fa notare - io con i rigori non ho mai avuto molta fortuna». Ed elenca ciò che ha perso: una semifinale mondiale (proprio con un rigore sbagliato da lui a Napoli contro l’Argentina) e una finale, una finale under 21, ed è uscito anche da un altro Europeo, quello in Inghilterra nel ’96, proprio per un rigore sbagliato. L’unico che gli aveva portato fortuna è stato quello parato da Buffon a Mutu contro la Romania, altrimenti non sarebbe nemmeno arrivato fin qui.

Al resto, ad altro non sa rispondere. Gli chiedono: ora toccherà decidere alla federazione. E lui, prima, dice una frase che può essere interpretata in mille modi: «Non mi aspetto niente. Cosa dovrei aspettarmi». Poi cerca rifugio nella diplomazia: «E’ logico, scontato che decida la federazione. Rimango in linea con questa idea.

Posso rispondere per quanto mi riguarda e difendere il mio lavoro. Ma non posso dare risposta per gli altri». Gli altri, appunto Abete, gliel’hanno fatta capire qualche secondo dopo. Con quel «Prego, vada fuori». Che adesso ci penso io.

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