Una donna? Ha bisogno di

È l'idea da cui parte «Twelwe Shoes», la mostra a Palazzo Giureconsulti di Milano

Se sapete che dodici sono gli dei dell'Olimpio e il numero degli Apostoli, se dai tempi del liceo vi ricordate che una dozzina sono anche i Cavalieri della Tavola Rotonda, i mesi della rivoluzione di Giove e le categorie dell'intelletto nella Critica della ragion pura di Kant, allora non vi stupirete scoprendo che dodici è anche il numero perfetto in fatto di scarpe femminili. Da indossare una per ogni ora di una giornata che per una donna, si sa, dura dodici ore, minuto più minuto meno. Perchè per quanto una scarpa femminile sia multitasking, come del resto chi la indossa, non si può pretendere l'impossibile da una sneaker o da un tacco 12. Anche loro hanno tempi e «personalità» individuali. E per questo non ci si può accontentare di un solo paio di scarpe per affrontare con savoir vivre una interminabile giornata. È il leit motiv di Twelve Shoes. Una per ogni ora del giorno, più che una mostra un accattivante racconto per immagini di una filosofia di vita svelata nell'evocativa Galleria dei Passi Perduti, al Palazzo Giureconsulti di Milano (dal 3 al 26 settembre). L'esposizione, presentata da theMICAM, manifestazione internazionale di riferimento per il mondo della calzatura, punta i riflettori su dodici scarpe-simbolo immortalate in altrettante gigantografie a tiratura unica, formato 2,60 metri x 1,30, suggestivi scatti d'autore di Federico Garibaldi: lui che indossa sempre stivali o zoccoli neri ha trasformato le scarpe femminili in opere d'arte giocando con l'aerodinamica futurista, con sciabolate di luci e colori psichedelici, con l'incanto della seduzione che una ankle straps o un tacco scultura sanno sempre dare. Dodici scarpe unite da un ironico e appassionato fil rouge di parole, aneddoti, citazioni, aforismi firmato dalle due curatrici Daniela Fedi e Lucia Serlenga, penne «storiche» della moda che i lettori del Giornale conoscono bene. Tutte e due condividono la passione per le scarpe: la prima ne possiede più di 800 in scatole etichettate con foto Polaroid per renderne più facile il riconoscimento, la seconda non scende mai sotto gli 8 centimetri di tacco e va a dormire dopo aver accuratamente pulito, lucidato e riposto le scarpe della giornata negli appositi sacchetti di panno. Una giornata cadenzata, secondo le due shoeaholic, applicando alle scarpe la regola delle cinque W del giornalismo anglosassone, Who-What-Where-When and Why, ovvero chi-cosa- dove-quando e perchè. Ma anche tenendo d'occhio agenda e orologio, non soltanto per abbinare la propria vita al paio di scarpe più appropriato, ma anche perchè ci vuole il tempo che ci vuole per fare la Cenerentola in cerca della scarpetta di cristallo che, per dovere di cronaca, era una «pump shoe». E anche per rendersi mestamente conto che ci si dovrebbe spostare con una scarpiera viaggiante. Perchè se alle 7.30 del mattino per il jogging sono indispensabili le sneakers e per arrivare senza slogature al lavoro aiutano le flat shoe, quando le lancette segnano l'ora della riunione meglio una rassicurante décollet e nella pausa pranzo un intramontabile mocassino. Primo pomeriggio dedicato allo shopping? È tempo di indossare stivaletti ankle boots, da sfilare e rimpiazzare con kitten shoes, scarpe dal tacco breve e sottile, quando si hanno appuntamenti di bon ton di solito, pare, alle 15.30, mentre se in agenda alle 16.30 vi sono momenti glamour è d'obbligo presenziarvi con sandali dai tacchi scultura. L'improrogabile salto al supermarket alle 17.30 va affrontato a passi di Oxford stringate prima di indossare sandali gioiello o ankle strap per la lezione di danza delle 18.30. Se poi qualcuno alle 19.30 vi invita ad un happy hour o ad un vernissage allora salite sulle platform con la zeppa, mentre per la cena o il cinema alle 20.30 optate senza incertezze per la pump con tacco a spillo. Se poi sul finale di serata volete sedurre osate un tacco 12, ma non un centimetro di più se non avete fatto corsi di paracadutismo.

E alla fine di questo giro del giorno in dodici scarpe darete ragione a Valerie Steele, guru della storia della moda e direttrice del museo del Fashion Institute of Technology di New York quando afferma: «Una scarpa messa per terra sta per conto suo. La sua forma e l'aspetto non cambiano. Un vestito o una camicetta per terra, invece, sono soltanto pezzi di stoffa».

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