Può essere che Cenerentola si annoiasse al ballo per il figlio del re? Che gironzolasse nel salone del castello rifiutando tartine, tirando in dentro la pancia, mordicchiando tuttal più unala di pollo tra gentiluomini attempati che non avevano nulla da dire ma non per questo stavano zitti. Che sentisse le mani del principe indugiare sulla sua schiena minuta come una foglia dautunno pronta a cadere. E udisse i rintocchi della mezzanotte come leco annunciata della lunga processione degli anni, degli interminabili giorni a palazzo, di tetre notti senza luna. Ma via di corsa, allora! Giù a rotta di collo per le scale, lontano a spron battuto sul suo cocchio (trainato giustappunto da destrieri ratti come topi). Nel peggiore dei casi, guardando il proprio sogno andare in fumo e in cenere - come ogni Cenerentola che si rispetti? - poteva dubitare: Avevo frainteso tutta la storia?.
Sono favole senza finale e senza morale quelle che racconta la 38enne irlandese Emma Donoghue. Ma resta senzaltro un libro favoloso - e, attenzione, né immorale né inconcluso - Il bacio della strega con cui, in dieci anni (come Kissing the Witch uscì nel '97), ha stregato i lettori anglofoni «d'Inghilterra, Irlanda, Scozia, Canada e Usa», ringraziati per lentusiasmo in appendice. E che finalmente scocca per conquistare anche gli italiani, nellammaliante traduzione eseguita da Maria Rosaria Corrado per Meridiano Zero (pagg. 158, euro 12).
Tredici fiabe ispirate alla tradizione popolare che da sempre va ripetendo di orfani sperduti e belle dormienti, di Raperonzolo e Rosaspina, di Hansel e Gretel, la Bella e la Bestia, di regine delle nevi e sirenette degli abissi. Allacciate luna allaltra in un girotondo allincontrario: «Chi eri tu prima?» - chiede sempre in versi una voce fuori campo interrogando fra un capitolo e laltro il protagonista del racconto appena terminato - «Chi eri tu prima di diventare colei che rovistava nella cenere?». E (capo)volte - a forza di metamorfosi, ribaltamenti, scambi di ruoli e piroette - in una girandola di ballate pop.
Donoghue rinuncia, sè detto, alla morale della favola, o alla pronuncia di lezioni sentenziose. Non però a certe sommesse raccomandazioni. Dettate sottovoce come da anonime cantilene: «Mantieni il tuo cuore infinitamente piccolo e la tristezza non lo scorgerà mai, non ci piomberà sopra, non volerà via tenendoselo tra gli artigli». Sussurrate come leco di antichi proverbi: «Siamo tutti ugualmente piccoli sotto locchio limpido del cielo. Tutti ugualmente preziosi alla sua vista». Meditate a labbra chiuse tra i pensieri muti: «Imparai che mia madre aveva ragione. Il lavoro era unàncora di salvezza, una candela sulla sommità delle scale, una patata nella cenere di un mendicante. Mi teneva equilibrata e sveglia; mi impediva di adagiarmi sul passato; mi impediva persino di ricordare che ero una donna».
Rinuncia sempre alle formule risapute, ai «C'era una volta», gli «E vissero felici e contenti». Non però alle figure più emozionanti, riconosciute da chiunque - al di là di tutti gli psicologismi, i simbolismi, i narcisismi - come emozioni proprie. La danza - di gioia - «su punte di limpido cristallo». La pena impaziente di star lì «a dividere i fagioli buoni da quelli neri». La fragranza della mela appena colta da una matrigna velenosa, appena morsa da una fanciulla radiosa, o conservata a lungo «al chiuso d'inverno» per sprigionare il profumo misterioso dun cavaliere.
Si concede sempre tre desideri impossibili da realizzare, espressi da tre sorelle rivali da maritare. Le tre macchie di sangue nobile sul fazzoletto che rende invulnerabile. Le tre parole magiche - «fame, oceano, sepolcro» - di cui ovviamente la bella imbambolata, chiusa comè da sempre nel sonno della sua torre, ignora il minaccioso potere. Ma presto perfino lei sarà liberata dal torpore. Non sentirà alcun male: non più di quanto punga lago in cima al fuso. E la sorpresa non sarà poi così scioccante per lei che, aprendo gli occhi, si ritroverà ancora - con gli occhi aperti, appunto - dentro un mondo da fiaba. Lì dove è nata, cresciuta e, finalmente, «è grande abbastanza», cè sempre l'abito sontuoso che calza a meraviglia su colei che vestiva in cenci. Arriva sempre lo sposo promesso che - gli occhi cerulei, il pallore turchino, il sangue blu - ha tutti i colori del principe azzurro.
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