Il dramma dell'antiberlusconismo: ma in quale piazza devo andare

La fate facile, voi. Ma io, Persona Democratica, non sono pronto. Mettetevi nei miei panni, donna o uomo che io sia. Ho passato anni agli spettacoli di Grillo e a imitare Vauro sui post-it, ho odiato il Milan perché Lui mi fa schifo, ho parlato male di ogni programma Mediaset dai Simpsons al Grande Fratello. Ho un curriculum da anti-Cav che al confronto Di Pietro è più ortodosso di Bondi. Ma ora si avvisa la gentile clientela che finisce il berlusconismo, e io non ho niente da mettermi. Mi aspettavo una bella resistenza unita, le radio clandestine, i cingolati su Milano Due. Invece mi ritrovo con una protesta balcanizzata, una ratatouille di cortei, rimostranze, intifade, defenestrazioni, risse, comizi, raccolte firme e raccolte punti. Insomma, una raccolta differenziata.

Già, che manifestazione mi metto, io? Per esempio, oggi potrei andare al Palasharp di Milano per la kermesse di «Libertà e giustizia», che fa tanto fratelli Rosselli visti allo specchio. Bello, il Palasharp, ci fanno anche la Festa dell’Unità, forse ci scappa una salamella. Certo, è periferia, mi rigano la Skoda. E poi cosa faccio? Giaccone e impegno civile oppure loden e profondità intellettuale? Vada per lo spessore culturale e la giacca di velluto, con quel po-po di parterre finalmente posso parlare dei libri di Camus e Saramago che ho in biblioteca. Non li ho letti, ma se ripasso i titoli poi faccio un figurone: «L’uomo in rivolta», «L’anno della morte di Ricardo Reis», sono preparato. Tra l’altro c’è Umberto Eco, che emozione, ho letto un articolo suo che faceva a pezzi il Giornale, ca-po-la-vo-ro. E poi vedo Saviano, chissà com’è dal vivo? Io sto con Saviano, io sono Saviano, Saviano eroe vero, non come Mangano. E anche Landini della Fiom, uno con le palle, quasi quasi vengo in salopette e chiave inglese. Tra parentesi, forse canta Irene Grandi, quella della pubblicità del Pocket Coffee. Canta anche Milva? Porto mia mamma che ha tutti i dischi.

Però sapete che vi dico? Che a me la città va stretta come una cravatta di Marinella, il cielo berlusconiano di Milano tenetevelo voi che votate Pdl e mettete i mocassini. Io infilo in spalla lo zainetto del mio progressismo, calzo le sneakers della gioventù e scelgo la manifestazione di domani: domenica 6 febbraio, «Missione Arcore». Tutti vestiti di viola, che il popolo medesimo non ammette distrazioni cromatiche. Forse ho ancora nell’armadio qualche maglione di acrilico residuato bellico dei girotondi. A proposito, chissà se c’è Nanni Moretti? Come diceva? «Mi si nota di più se vado ad Arcore a gridare “vergogna!” o se sto a casa a guardare il campionato su Sky?». Che poi dai, il calcio è veramente l’oppio dell’elettore bue. Versami il Veuve-Clicquot, che brindiamo allo sci, autentico sport di elezione politico-sociale.

Epperò no, forse siamo compagni che stanno sbagliando tutto. Riprendiamo in mano le nostre radici e aspettiamo il 12 febbraio. Sì, mi faccio un tour nelle piazze d’Italia all’urlo di «Adesso basta! Berlusconi dimettiti». Mi infilo un grembiule, che in fondo siamo popolari, noi di sinistra, non dobbiamo dimenticarlo neppure quando ci sediamo nel salotto dei Nonino a sorseggiare grappa barricata con Renzo Piano. Prendo pentola, mestolo e coperchio, vado ad Anzio, a Cuneo, a Riccione e faccio un casino da addio al celibato. La rivoluzione non è educata. La rivoluzione non russa, rutta.
Pardon. No, non so cosa mi abbia preso, sul serio. Vipensandoci, cavi miei, fovse mi donevebbe di più aspettave il 13 febbvaio. La erre arrotata dall’eccessivo uso di cachemire non mi manca, la furia e l’indignazione neppure. È la vigilia di San Valentino, i sentimenti battono il bunga-bunga, la mia bella la porto a vedere Concita De Gregorio. Sono donna, dico basta al maschilismo. Sono uomo, dico basta al machismo. Mettiamo dei fiori nei cannoni della nostra ipocrisia, vestiamoci di luminosa dignità. Vendichiamoci delle veline che senza studiare finiscono miliardarie a braccetto dei tronisti. Umiliamo i bulli che al liceo portavano a casa più conquiste che 6 in pagella. Un foulard di rispetto, una stola di stile che copra il materialismo di oggi. Ho deciso, vado in piazza con le donne, «Se non ora, quando?», come scriveva Primo Levi. C’è Margherita Buy con le sue nevrosi, Licia Colò con l’orso della Golia Bianca. Mi sento così femminile oggi, ho rivisto i film di Pasolini. Devo solo decidere se infilare in tasca L’Unità o Repubblica.

E però ora che ho passato in rassegna il mio guardaroba da indignato speciale, ora che ho passato in rassegna tutti i moti inviperiti, una cosa me la chiedo: qui ognuno ha la sua piazza, la sua parola d’ordine, la sua ragione sociale e il suo torto da raddrizzare. E io, Persona Democratica, quasi quasi mi indigno al contrario.

Perché ora che ho passato i lunedì sera davanti a Lerner, i martedì davanti a Floris, i giovedì davanti a Santoro e le domeniche davanti alla Gabanelli, almeno una piazza comune in un unico giorno me la meritavo, no? Che io oltre a indignarmi e a decidere con che protesta vestirmi, dovrei pure trovare il tempo di vivere. Nonostante Berlusconi.

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