Bastano solitamente due note per individuare a occhi chiusi un maestro della chitarra. È il suono a dircelo o, come si esprimono gli americani in gergo musicale, «the tone».
Duane Eddy, morto a 86 anni, è stato uno dei primi moderni «guitar hero», facendo del suo suono un marchio di fabbrica inconfondibile. È probabile che oggi siano in pochi a ricordarsi di lui, ma alcuni dei suoi brani più celebri sono talmente noti da risultare riconoscibili praticamente a tutti.
Basterebbe sentire la sua versione del tema della serie televisiva Peter Gunn, il brano omonimo di Henry Mancini del 1959, tornato al successo nella straordinaria versione R&B del 1980 dei Blues Brothers. Oppure Lonesome road, Rebel Rouser, Cannonball, Moovin'n'Groovin', brani in cui lo stile chitarristico estremamente personale di Eddy si trasforma in un vero e proprio archetipo, con quell'ostinata preferenza per le note e le corde basse, pesantemente riverberate e rese più drammatiche dall'uso sapiente della leva del vibrato.
La chitarra usata da Eddy, una Gretsch modello Chet Atkins 6120, ha certamente contribuito a plasmarne il suono, ma chiedete a qualsiasi chitarrista e la risposta sarà sempre la stessa: a fare il chitarrista non è la chitarra, bensì il tocco. Ossia le mani. In quello, Eddy ha pochi eguali. Mi vengono in mente Link Wray, la cui epocale Rumble del 1958, è una sorta di anticipazione scarmigliata e distorta della più soave Rebel Rouser, uscita soli due mesi dopo, e Dick Dale, il più noto tra i chitarristi surf. E proprio il surf, quello dei Beach Boys, ha sicuramente qualche debito nei confronti di Eddy e del suo stile così profondamente influente nella storia della musica leggera.
Partendo da una profonda conoscenza nel Dna di qualsiasi bianco americano delle classiche sonorità country & western, Eddy ha il suo corrispettivo inglese in Hank Marvin, l'occhialuto chitarrista degli Shadows, a sua volta appassionato di atmosfere da film di Hollywood.
Lo stesso Ennio Morricone strizzò l'occhio a tali atmosfere. Le sue colonne sonore degli spaghetti western di Sergio Leone sono un aperto pur non sapendo quanto dichiarato tributo al chitarrista americano. Naturalmente, la formazione chitarristica del giovane Eddy deve essere pure transitata per il variegato e geniale mondo del blues elettrico.
L'album di debutto di Duane Eddy, Have twangy Guitar - Will Travel, del 1958, è un vero e proprio manifesto da cui Eddy non si staccherà praticamente mai, mietendo schiere di epigoni e fan illustri, da una parte come dall'altra dell'Atlantico. Senza Duane Eddy, grandi «manici» come George Harrison, Mark Knopfler, Jeff Beck, Ry Cooder, John Fogerty, tanto per citarne alcuni, non ci sarebbero stati o, comunque, si sarebbero dovuti fare le ossa in altro modo. Ed è piuttosto frequente imbattersi in interviste in cui nomi roboanti come quelli o altri ancora citano Eddy tra le loro fonti di ispirazione primarie.
D'altra parte, specie un tempo, era molto difficile che un grande marchio di chitarre creasse un modello appositamente intitolato a un
chitarrista che non fosse un eroe dello strumento. La Guild signature del 1961 fu concepita per garantire a Eddy i punti di forza della sua Gretsch e per consentirgli un ulteriore perfezionamento di quel suo suono inimitabile.
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