Dubbi sulla teste che non si trova

Giovanna Reggiani era stata uccisa da poco e il suo corpo gettato semisvestito in una scarpata, quando la polizia entrò nella baracca di Romulus Nicolae Mailat e lo sorprese «con il volto insanguinato e le mani piene di graffi». È l’agente che intervenne la sera del 30 ottobre scorso a raccontare ai giudici della Corte d’Assise in quali condizioni venne trovato, nella sua baracca, il romeno arrestato con l’accusa di aver aggredito e ucciso la moglie dell’ammiraglio Giovanni Gumiero nei pressi della stazione ferroviaria di Tor di Quinto.
Era stato un autista dell’Atac ad avvertire le forze dell’ordine dopo essere stato fermato da una rom che gli disse di aver visto il corpo di una donna sotto un ponte. Quella donna era Emilia Neamtu, che oggi viene considerata la supertestimone del processo. È stata lei ad inchiodare Mailat e le sue accuse sono state già messe nero su bianco nel corso di un incidente probatorio. Ciò nonostante la difesa dell’imputato aveva chiesto e ottenuto dal giudice di ascoltare di nuovo la testimone, che dovrebbe vivere sotto protezione. Impresa impossibile, secondo la Corte, che la scorsa udienza aveva comunicato alle parti di non essere riuscita a rintracciare Emilia. Qualche giorno più tardi, però, come riportato sabato scorso dal Giornale, un quotidiano romeno l’ha intervistata in Transilvania. Al cronista Emilia ha detto di non sapere nulla del processo e di non essere stata citata. Ma anche di essere disposta a testimoniare, nel caso in cui le venisse pagato il viaggio. Notizia che l’avvocato Piero Piccinini, legale di Mailat, non si è lasciato sfuggire: «Se è vero, la donna è estremamente rintracciabile. Mi sembra straordinario che non si riesca a citare una testimone protetta dalla Procura perché non si trova». Ad inizio udienza il difensore aveva cercato di depositare la traduzione di una parte dell’incidente probatorio in cui la nomade chiederebbe vantaggi per la sua collaborazione. Richiesta rigettata dal presidente: «L’episodio è chiuso». Nel resto dell’udienza vengono ascoltate le deposizioni degli agenti che per primi accorsero sul luogo dell’omicidio. «La donna era agitata, gesticolava in modo veemente e urlava “Mailat, Mailat”. Voleva che la seguissimo a tutti i costi - racconta un poliziotto - Ci portò all’accampamento, Mailat aprì la porta della sua baracca e la signora si mise a urlare. Lo arrestammo nel giro di mezz’ora. Aveva il volto ancora insanguinato ed escoriazioni sulla mano destra. Intanto si era formato un capannello di persone e siamo andati via perché stavano per aggredirci». La Corte ha chiesto a Mailat indicazioni più precise per poter convocare tre nuovi testimoni della difesa.

«I loro racconti sono importanti - ha detto l’avvocato - perché potrebbero ricostruire gli orari e gli spostamenti dell’imputato. Quella sera erano al campo e non sono stati sentiti». Ma anche loro a quanto pare sono irreperibili, proprio come la supertestimone che inchioda Mailat.

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