E adesso Casini frena: «Così non partiamo»

da Roma

«Per la missione in Libano ogni giorno che passa aumentano le perplessità sul comportamento del governo. È chiaro che il nostro appoggio resta condizionato all'impegno globale dell'Europa e alla chiarezza su obiettivi politici e regole d'ingaggio. Perciò il governo deve affrettarsi a chiarire tutti questi punti fondamentali non solo nei confronti dell'opposizione, ma del Paese». Questa nota di Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, rende ufficiale che l’atteggiamento della Cdl nei confronti della missione Unifil è cambiato. E stavolta non sembrano esserci crepe all’interno del centrodestra se anche Pier Ferdinando Casini, il più entusiasta del voto bipartisan della scorsa settimana, corregge la rotta.
In un intervista all'Espresso, l'ex presidente della Camera afferma di vedere il progressivo defilarsi dei principali Paesi europei e teme che la nostra missione in Libano si trasformi «da un atto di coraggio a un azzardo», dato che «finora l'Europa non c'è stata, non per un complotto antieuropeo o perché gli americani ci hanno escluso, ma perché non ha avuto una linea comune». Casini ritiene dunque che la guida italiana della missione «la si possa assumere solo se c'è una partecipazione reale dei Paesi europei importanti: altrimenti, calma».
Ed è tutto il centrodestra a incalzare la maggioranza con una parola d'ordine: chiarezza. Roberto Maroni dice al Meeting di Cl, con la soddisfazione di essere stato apripista del fronte dello scetticismo, che il governo dovrebbe adottare maggiore prudenza. «Sapevo che Francia e Germania sarebbero state titubanti sull'Unifil». Ecco perché «questa spinta forte del governo italiano (per mandare le truppe in Libano, ndr) mi sembrava francamente immotivata». Perciò, continua l’ex ministro del Welfare, «la missione serve, ma bisogna vedere a quali condizioni si va». Non usa invece perifrasi, come sempre, Roberto Calderoli, secondo cui la sinistra sta «affrontando la difficilissima situazione mediorientale come se stesse giocando a Risiko». Il leghista, pronosticando che la missione finirà in un nulla di fatto o in una «figuraccia» come quella somala, incalza: «Quel cerino che, unici in Europa, si sono ben volentieri presi in mano ora rischia non solo di bruciare le mani di questa maggioranza ma anche di essere l'innesco di un vero e proprio conflitto». È molto diretto Beppe Pisanu nell’avvertire che la Cdl voterà no se non riceverà assicurazioni su cinque punti: «La conoscenza chiara dei compiti della missione, regole efficaci che consentano ai nostri militari l'uso della forza non solo per difendersi ma anche per prevenire attacchi, che ci sia una composizione realmente europea, una catena di comando che non si concluda con dei burocrati a New York ma abbia un capo militare sul campo e che sia garantito il livello di sicurezza dei nostri soldati».
E mentre Marcello Pera, anche lui a Rimini, invoca una seria discussione in Parlamento che corregga l’indirizzo troppo «filo hezbollah» di Massimo D’Alema, sul ministro degli Esteri si abbatte il sarcasmo di Francesco Storace (An): «Il ministro D’Alemmah vuole soldati in Libano armati di pistole ad acqua». Ma non basta: Storace si dichiara d’accordo con il senatore di Fi Guzzanti che ieri, sul Corriere della Sera, ha ribadito di essere nettamente contrario alla missione.

Si affida all’ironia anche Osvaldo Napoli, che di D’Alema dice: «Smanioso di mettersi il pennacchio del comando, rischia ora di ritrovarsi con lo scolapasta in testa». Il parlamentare di Fi sospetta infatti che la Francia esigerà il comando del contingente in cambio di un vero impegno militare.

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