«E adesso sorpasso anche un mito come Zoff» L’ex iridato della Superbike: «Il grande portiere azzurro si ritirò a 41 anni, io tiro dritto e punto a un altro Mondiale»

«E adesso sorpasso  anche un mito come Zoff» L’ex iridato della Superbike: «Il grande portiere azzurro si ritirò a 41 anni, io tiro dritto e punto a un altro Mondiale»

A quarant’anni Dino Zoff vinse il Mondiale, a quarantuno salutò il caloroso pubblico e passò ad altro. Max Biaggi non lo sa, ma non appena glielo faccio notare trova subito un altro buon motivo per non mollare il gas. Nel 2012, il 26 giugno, anch’egli compirà quarantuno anni, ma per lui non sarà il capolinea di un’interminabile carriera: da come parla, da come pensa, da come sogna, il pioniere di tutti i Valentini ha l’aria di stabilire quanto meno il record di durata. Chilometraggio illimitato. C’è poco da fare: di fronte al campione che sorpassa Zoff, un’intervista s’impone.
Biaggi, quando Zoff lasciò era considerato un prodigio della natura, ma comunque molto molto vecchio...
«Giuro, a Zoff non avevo mai pensato. Ma adesso che me lo dice ho un motivo d’orgoglio in più e un nuovo obiettivo».
A quarantuno anni possono gareggiare in tanti: da campioni pochissimi.
«È questo il senso. Io riparto anche quest’anno nella piena consapevolezza di poter vincere il mondiale Superbike».
Vaghi timori di scadere nel patetico?
«Molti. Difatti, io insisto perché mi sento ancora tra i più forti. Vorrei essere chiaro: non sono di quelli che non riescono a scendere di sella, che non riescono a inventarsi un’altra vita. Certo non è facile voltare pagina: ma quando è il momento, si fa. Senza tanti piagnistei. Io continuo perché mi sento ancora quello dei vent’anni. Ho testa e cuore da numero uno. Non continuo così, tanto per esserci. A me piace essere, non esserci».
Dicono tutti così.
«Io l’ho anche dimostrato. Ad un certo punto, in MotoGp, potevo continuare tanto per esserci. Non ho esitato: mi sono guardato allo specchio e ho voltato pagina, rimettendomi in discussione nella Superbike».
Ma dell’addio, che fra venti o trent’anni comunque la riguarderà, che idea si fa: un incubo, uno spettro, un’angoscia?
«Mi accorgo che me lo chiedono sempre più spesso, chissà come mai... Io però sono tranquillo: non mi fascio la testa. Adesso sono un pilota in piena attività, non mi interessa quanti anni ho. Quando sarà il momento, toglierò il disturbo. Sarà un passaggio naturale. Mi lascerò indietro solo tanta soddisfazione».
E anche qualcosa che rode, è inevitabile.
«Una sola: il Mondiale del ’98. Mi squalificarono a Barcellona per un sorpasso a Barros, dicevano con bandiera gialla, ma io ero in buona fede. Mi tolsero il Gp e ottime possibilità di vincere il titolo. Tempo dopo, tutti i miei colleghi dissero che nessuno aveva visto quella bandiera...».
E invece della stagione appena finita cosa rode?
«L’infortunio, mi sono rotto il piede sul più bello. Non so se avrei vinto il mondiale, ma me lo sarei giocato fino all’ultimo chilometro, questo è sicuro».
Chiudiamo il capitolo: c’è qualcosa che rode anche per l’anno che viene?
«Avrò un team di meccanici nuovo. È un’incognita per tutti. Serve tempo, per creare il giusto affiatamento».
Arriva il capomeccanico di Simoncelli...
«La considero una gran cosa, perché è molto bravo».
Parlare con certi ventenni fa cascare le braccia, sembrano già a fine carriera, ci si chiede se siano viventi: com’è che lei alla sua età emana ancora così tanta freschezza?
«La sfida. Ogni volta riparto da zero. A tenermi sveglio è la sfida. A tutte le età bisogna inventarsi una sfida».
Vantaggi e svantaggi dei quarantuno anni?
«A venti ci sono spensieratezza e incoscienza. A quaranta compensi con motivazioni e rabbia sportiva. Il problema per me è solo fisico: quello che a vent’anni facevo in un’ora, adesso me ne richiede due. Ma se conduci una vita vera da atleta, a letto presto e mangiare come si deve, ti ritrovi tutto proprio a quarant’anni. Anche sacrificarmi a questa età è una sfida».
Lei sta a Monte Carlo: cos’è, in fuga da Monti?
«No, guardi: sto qui da vent’anni, sono monegasco d’adozione. Vero».
Tutti pensano che voi campioni siate avidi paperoni sempre a caccia di soldi.
«I soldi piacciono anche a me, perché mi servono. Ma posso dire serenamente che mai loro si sono serviti di me. Il padrone della mia vita sono io, non loro».
Ha visto? Ci sono calciatori che per soldi taroccano le partite...
«Tutto questo, per me, è fuori dal mondo. Non esiste cifra che mi ripagherebbe di una vittoria buttata via».
Abbiamo aspettato anche troppo per la domanda su Valentino: sia sincero, ci gode nel vederlo così?
«Sinceramente no. Non mi piace infierire sui guai degli altri. Dovrebbe essere così per tutti...».
Da uno a cento: quanto le danno noia le domande su Valentino?
«Invecchiare comporta anche vantaggi: insegna la pazienza».
Ma non pensa mai che questa rivalità in fondo ha fatto bene pure a lei?
«No. Ha fatto bene a lui. Perché vinceva e poteva anche dire d’aver battuto un campione».
Lei ha una gran bella moglie: un vantaggio o un problema in più?
«Per me un vantaggio. Certo, le percentuali di rischio aumentano sensibilmente...».
Tra vent’anni la richiamo per chiederle perché non smette?
«Non credo. Tra vent’anni mi vedo in giro per il mondo.

Non come adesso, tra aeroporti, alberghi e piste. Voglio alzare la testa e vedere».
Magari in moto, con sua moglie sulla sella dietro.
«Non credo. Però mai dire mai».
Ma la signora si fida?
«In fondo sono pur sempre il suo pilota preferito».

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