Sono i giochi più controllati della storia. Ma poco importa. Quando la bomba è esplosa, pur a migliaia di chilometri di distanza da Pechino, ha aperto una breccia anche nelle rassicuranti mura del villaggio olimpico. Una breccia attraverso cui è subito entrata la paura. Paura di attentati, questa volta contro obiettivi più simbolici e più vicini.
A Casa Italia gli atleti azzurri già presenti minimizzano. «Mi pare siano cose loro - ha detto lalzatore della squadra maschile di pallavolo Valerio Vermiglio -. Sono distanti da Pechino, non credo arriveranno fino a qui. Almeno, questo è ciò che sembra: qui viviamo in un clima ovattato, protetti da controlli severissimi... ma non è un caso che questo attentato avvenga a pochi giorni dallapertura dei Giochi». Poco importa quello che dice il Cio.
I controlli di sicurezza attorno alle strutture delle rappresentative sono imponenti, ancora più che nel resto della città. I giornalisti che partono dagli hotel sono sottoposti al controllo delle borse e alla perquisizione personale prima di uscire dallalbergo e imbarcarsi sugli autobus navetta, che poi viaggiano sigillati fino allentrata dellOlympic Green, la città olimpica nel nord della capitale.
Eppure, anche la Cina teme nuovi attentati. «Finché dureranno i Giochi è possibile che altre città subiscano attacchi come quello di ieri mattina», ha detto preoccupato il professor Li Wei dellIstituto per le Relazioni Internazionali Contemporanee, uno dei massimi esperti cinesi di terrorismo. «Di certo - ha detto Massimiliano Rosolino, olimpionico nei 200 metri stile libero a Sydney -. Più le cose sono blindate più si ha voglia di rompere la cassaforte».
Reazioni abbastanza pacate, dunque. Un atteggiamento favorito dal clima nel Villaggio, isolato dalla città e dal resto del mondo. «Siamo tagliati fuori, abbiamo soltanto Internet e lo usiamo per leggere di sport - ha raccontato lesordiente olimpico Alessandro Terrin -. Abbiamo saputo quello che è successo perché ci sono arrivati messaggi allarmati dallItalia». Poco cambierebbe anche se la situazione fosse diversa. «Non vedo molte alternative - ha ammesso un fatalista Alessio Boggiato, nuotatore specializzato nei misti -. Dobbiamo fidarci dei cinesi e sperare che vada tutto bene».
Al Villaggio olimpico, dunque, fra il nervosismo strisciante nascosto da sorrisi e frasi di circostanza tutto è per ora in ordine, protetto dallimmane apparato di sicurezza. Che però forse non è così impenetrabile. «Secondo me ci sono delle crepe - ha confidato Alejandra Benitez, schermitrice del Venezuela che era anche ai Giochi di Atene -. Allentrata delle palazzine delle squadre non ti chiedono nemmeno di vedere il pass». La replica delle altre atlete non si fa attendere. «La verità è che qui i controlli sono più sofisticati, si fanno vedere meno, e quindi sono più efficaci - ha spiegato la sciabolatrice senegalese Nafi Toure - quando ci si deve abbassare per fare aderire il pass alla macchinetta elettronica che lo verifica, cè anche una telecamera che ti scruta il viso, per controllare che corrisponda alla fotografia sul documento. Questo ad Atene non cera».
Se possibile, una situazione ancora più tranquilla si registra a Xian, dove si trovano in questo momento le tuffatrici italiane, protette dalla famosa armata di terracotta. Anche qui la notizia dellattentato è arrivata dopo. «Tutto tranquillo - ha detto Giorgio Cagnotto, tecnico della figlia Tania e responsabile della squadra, raggiunto telefonicamente dal Giornale -. Dispiace per i morti, ma non è certo come nel 1972 a Monaco, quando tutto avvenne dentro il Villaggio. Qui, senza Internet, dellattentato si poteva anche non sapere nulla: non lhanno fatto vedere».
Insomma, per ora gli atleti minimizzano ma, nonostante le informazioni non filtrino, nellaria si respira una certa inquietudine. «Siamo qui per gareggiare, non per fare i carabinieri», ha concluso Rosolino.
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