E il Cantiere di Occhetto demolisce il Botteghino

I «consoli» Ds sotto processo nella convention della associazione di sinistra. Travaglio: «Si dimettano»

Luca Telese

da Roma

«Dopo tanto imbarazzo, a volte fin troppo arrogante, finalmente si è fatta sentire una lieve autocritica da parte del gruppo dirigente dei Ds, ancora molto al di qua della comprensione effettiva del problema». A dirlo non è qualche nuovo emulo di Joseph Goebbels (i lettori ricorderanno che il simpatico accostamento tra il gerarca nazista e questa testata lo ha fatto il segretario dei Ds Piero Fassino) ma Achille Occhetto, fondatore del partito della Quercia, e oggi spirito irregolare della sinistra nonché animatore di una sua associazione, il Cantiere. Ieri Occhetto e i suoi hanno tenuto a Roma una convenzione programmatica per promuovere la formazione di una lista Arcobaleno in vista delle politiche.
Ma il convegno dell’Hotel Quirinale è stata l’occasione per una passerella di umori roventi, di quella parte di sinistra di politici e gornalisti - da Oliviero Beha ad Alfonso Pecoraro Scanio - che fa della questione morale il caposaldo della sua battaglia e della critica ai furbetti del Botteghino un imperativo categorico. Ed è stata l’occasione per un nuovo affondo caustico di Marco Travaglio, l’autore di un libro (Inciucio, Rizzoli) che sparava a palle incatenate sulla sinistra dalemiana e fassiniana. Ieri Travaglio si è tolto qualche nuovo sassolino dalle scarpe e ha aggiunto alla sua celebre battuta sulla sinistra «entrata a Palazzo Chigi con le pezze al culo per uscirne miliardaria» nuove sulfuree stoccate che non potranno restare senza replica. L’autore di Inciucio ha martellato a lungo sul ruolo del supermanager Giovanni Consorte, colpito dalle inchieste: «L’intercettazione della telefonata con Fassino rivela un intreccio illegale, e il fatto che lo stesso Fassino fosse perfettamente a conoscenza di un concerto illecito che garantiva il possesso del 51% delle azioni ben prima che venisse lanciata l’Opa!». E poi, sulle dicharazioni pubbliche dei due leader della Quercia: «Per mesi e mesi hanno coperto o vezzeggiato gli immobiliaristi, taciuto su Fazio, e addirittura detto, alcuni di loro, che non si doveva dimettere. Avevano il freno a mano tirato e le mani legate, non volevano disturbare i manovratori e hanno precluso la possibilità di denunciare una nuova P2 che si stava impossessando di banche e del più grosso giornale italiano». Boato, pausa: «Tutto quello che è stato considerato una rivelazione calunniosa da oggi, l’avevano già scritto intellettuali, giornalisti ed economisti, un anno fa. Anziché prendersela con i giornalisti che hanno avuto il torto di avere ragione farebbero meglio a riconoscere che se non fosse per i giornali e la magistratura questa P2 sarebbe arrivata a fondo». Infine, sarcastico: «È assurda la difesa di chi dice, come Fassino: “Non abbiamo conti in Svizzera”. Ci mancherebbe altro. Negli altri Paesi chi fa questi errori di valutazione solitamente si dimette per direttissima».
Più politici, ma non meno critici interventi come quello di Antonello Falomi, ex senatore dei Ds, oggi vicino a Rifondazione: «Il problema è ricostruire in Italia una sinistra che possa stringere in mano la bandiera delle diversità.

Quella bandiera gettata nel fango dal pensiero unico nei Ds. A prescindere dagli sviluppi giudiziari, Fassino e il gruppo dirigente dei Ds sono colpevoli di aver tradito l’eredità di Berlinguer che la base del partito non intende abbandonare».

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