E tra i due litiganti il vecchio McCain gode

Il candidato repubblicano consolida le posizioni. Anche gli ultra-conservatori ora appaiono meno diffidenti

La «lunga notte» della Pennsylvania non è appartenuta soltanto a Hillary Clinton che se l’è gustata in prima fila. L’altro vincitore non lo si è visto in pubblico e anche l’indomani ci è andato cauto con le dichiarazioni, ma pochi hanno dubbi che il maggior frutto dalla estenuante battaglia fra due democratici l’abbia tratto John McCain, candidato repubblicano. Le cose stanno andando così bene per lui quasi che le avesse preordinate con una finezza strategica e una astuzia da Machiavelli in uniforme. Che prima ha seminato dei cadaveri politici in campo repubblicano, poi si è goduto la doccia di veleno sugli avversari democratici.
Nel dicembre dell’anno scorso McCain era dato per spacciato, con pochi amici, poche prospettive, pochi soldi. Invece in pochi mesi il cammino verso la nomination repubblicana si è disseminato di cadaveri illustri (Giuliani, Romney, Edwards, Thompson, Huckabee) e McCain, a dispetto dei pronostici, dei grandi finanziatori, degli ultraconservatori e della Casa Bianca, è stato acclamato erede di due Bush e di Ronald Reagan. Restavano i democratici, dati per favoriti in conseguenza di una guerra impopolare in Irak e delle prime avvisaglie di rallentamento dell’economia. Adesso che è venuto il terremoto finanziario la Casa Bianca dovrebbe essere loro. E invece sta diventando un’arena in cui due gladiatori, Hillary e Obama, si combattono all’ultimo sangue: quello del Partito democratico. John McCain assisteva in tribuna. Ma forse ora lo spettacolo gratuito è finito per lui. Si avvicina il momento in cui cominceranno a tentare di colpirlo trascinandolo nell’arena. E gli americani cominciano ad aver voglia di conoscere di più McCain o almeno la sua intimità di politico.
Come uomo è noto da tempo, e come eroe. La prigionia e le torture in Vietnam del Nord potevano distruggerlo e lo hanno temprato. La vita politica, invece, non ha spento il suo carattere impulsivo, il suo istinto per l’indipendenza, una certa volubilità che non ha finora inciso che poco sulla sua credibilità e su quella dei suoi principi, una impazienza già evidente nell’infanzia che lo ha coinvolto, da senatore, in scontri personali spesso sull’orlo della rissa. Un tratto che solo adesso sta venendo alla luce, ampiamente reclamizzato, evidente avanguardia della campagna personale che sta per abbattersi su di lui. Ed è solo il prologo: più i democratici si metteranno vicendevolmente alle corde, più sentiranno il bisogno di colpire colui che resta l’avversario comune. Vedremo presto se John McCain è davvero un enigma, se ne conosce il coraggio di soldato, la generosità di legislatore (soprattutto nell’impegno contro la tortura e per la moralizzazione della vita politica), la labilità delle collocazioni ideologiche. I columnist ultraconservatori continuano a insinuare che lui è, sotto sotto, «di sinistra»; anche se lo gridano meno.

Temevano fino a poco tempo fa che il militare di carriera fosse, come spesso accade, un pacifista. Ma un collega di partito che lo conosce bene, Pat Buchanan, «direttore delle comunicazioni» alla Casa Bianca di Reagan, ha definito così la «colomba» McCain: «In paragone a lui, Dick Cheney è Gandhi».

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