E nel mirino finisce Peres «Tiene il piede in due staffe»

Gian Micalessin

Fosse per lui continuerebbe a starsene seduto su due sedie, tranquillo e comodo come un papa. Un po’ su quella di Kadima, un po’ su quella offertagli dai laburisti pronti a riaccoglierlo come un figliol prodigo. Ma quelli di Kadima non hanno tempo. Alle elezioni mancano solo 77 giorni e ogni tramonto senza certezze divora voti e consensi. E così Shimon Peres, dopo aver brevemente riassaporato, a 82 anni suonati, il piacere di sentirsi conteso e ricercato, si ritrova a dover decidere in fretta. A risvegliarlo bruscamente dal tiepido bozzo di vetusta vanità è la stizza di un ministro di Kadima che lo accusa, senza troppi peli sulla lingua, di star mercanteggiando il proprio appoggio. «Cerca di aumentare le proprie quotazioni, fa capire di stare con Olmert e allo stesso tempo di dar retta a Peretz (il capo laburista) che lo prega di tornare, ma Olmert ha dei nervi d’acciaio e non gli prometterà nulla di più di quanto promesso da Sharon». Messo allo scoperto da quelle accuse, Shimon Peres si ritrova costretto a prender posizione, obbligato - dopo tre giorni di studiata attesa - a render pubblico il suo pieno appoggio a Ehud Olmert. Ma lo fa alla Peres-maniera. Conferma di considerare Olmert la miglior scelta per guidare Kadima e il Paese, ma ribadisce, per quanto lo riguarda, il patto già stretto con Sharon. Shimon Peres conferma, insomma, di non voler entrare in un partito dove - anche dopo la dipartita di Arik - non potrà mai conquistare la leadership. Un partito dove, ben che vada, potrà fare il numero due. Se deve fare il vice preferisce farlo all’interno del governo dove, rinverdendo le promesse del suo capo e predecessore, Ehud Olmert gli terrà in caldo un posto da vice premier. Un posto da cui - come ha ribadito in un’intervista alla Cnn - potrà continuare ad occuparsi delle questioni riguardanti la pace. Quel proposito è l’eufemismo di un vetusto narciso convinto - ora più che mai – d’esser l’unico politico israeliano capace di riprendere le fila del dialogo con gli Stati Uniti, il negoziato con i palestinesi e i progetti di riassetto territoriale immaginati da Ariel Sharon. Insomma una specie di vice premier itinerante, un super ministro degli Esteri, una super balia pronta a svezzare il sessantenne Ehud Olmert e i debuttanti di Kadima. Loro, gli uomini di Kadima, continuano non solo a promettergli un posto di rilievo nel futuro governo, ma anche a garantirgli uno dei cinque più importanti posti da capolista nelle proprie file. Il gesto - più formale che sostanziale vista la posizione del «grande conteso» - serve soprattutto a contrastare le mosse dei laburisti impegnati in un’offensiva per riportar a casa il decano della politica israeliana. Più di un deputato laburista ha ammesso la disponibilità di Amir Peretz a far posto al vertice del partito non solo a Shimon Peres, ma anche all’ex premier Ehud Barak.

L’ex sindacalista, ritrovatosi improvvisamente spiazzato dalla tenuta di Kadima, tenta infatti di recuperare personaggi che, nel vuoto lasciato dal crollo di Arik, risplendono nuovamente come giganti della politica. Ma riportare a casa Peres e Barak non è facile. Peres sa bene che se Kadima arriverà solida e coesa alle elezioni e soddisferà nel contempo la voglia di centro del Paese nulla salverà dalla sconfitta i laburisti.

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