E nell’Europarlamento nasce la «lobby cristiana»

Deputati italiani, francesi, spagnoli e polacchi assieme per difendere quei principi universali oggi messi all’angolo

Alessandro Caprettini

nostro inviato a Bruxelles

Forse il destino o, se si preferisce, la potenza dell'imprevedibilità. Certo è suggestivo che ieri si sia tenuto il battesimo della «lobby cristiana» nell'Europarlamento il giorno dopo un epico scontro via e-mail tra credenti e no che affollano il palazzone che sorge nei pressi di rue Belliard.
È accaduto infatti che martedì, l'assistente parlamentare di un deputato ungherese del Partito popolare, Lazslo Surjan, avesse fatto circolare un messaggio tra gli addetti ai lavori in cui notificava come nella chiesa del Santo Sacramento, il giorno seguente, si sarebbe celebrata una messa di Quaresima. Un messaggio come tanti altri che annunciano riunioni pro gay o incontri di letteratura mongola o concerti di musicisti andini a beneficio degli eletti dei 25 Paesi soci. Ma stavolta la posta elettronica degli eurodeputati è andata in tilt, costringendo l'alto funzionario preposto ai computer a pregare gli eurodeputati e i loro assistenti di non replicare oltre: «Questo è spam» (immondizia), una delle risposte meno ostili rinviate al mittente. «Sappiate che qui siamo tutti atei!», un altro messaggio. «Come vi permettete di seccarci con questi annunci», un altro ancora. «Credere o non credere è un fatto personale» uno dei meno urticanti. Insomma un pandemonio, cui forse era inevitabile che ieri seguisse la notifica della nascita della «lobby cristiana» che ha preso vita nell'Europarlamento dopo tre anni di gestazione, annunciata dal vicepresidente dell'assemblea, l'italiano Mario Mauro (Ppe-Forza Italia), al cui fianco erano il capogruppo azzurro Tajani, e rappresentanti delle associazioni - italiane, francesi, polacche, spagnole - che costituiscono il nocciolo duro del nuovo gruppo di pressione.
«Non sono qui per sognare una nuova Lepanto, ma non credo nemmeno che per l'Europa sia tornata a girare l'Inquisizione...» spiega Mauro. Aggiungendo come, da uno studio comparato da lui fatto eseguire per quel che riguarda gli ultimi dieci anni, sono più le condanne riservate dalla Ue al Vaticano che quelle comminate a Cina e Cuba. Sostenere le minoranze, fanno notare i vertici di «Fondazione Europa» - così si chiama ufficialmente la lobby cristiana - è politically correct, mentre scandalizzarsi per l'eutanasia infantile ammessa dall'Olanda a questo punto è divenuto mostruoso! Ci tengono comunque a precisare gli eurodeputati del gruppo che hanno aderito, di non sentirsi assolutamente milizie scelte di Benedetto XVI e tantomeno avanguardisti del cattolicesimo, tanto che si augurano che anche i protestanti possano aderire alla formazione. Si limitano a rivendicare il loro essere cristiani che, come ha notato Tajani, è antecedente a una scelta politica. «Monitoreremo i documenti, faremo petizioni, torneremo a chiedere l'inserimento delle radici giudaico-cristiane nella Costituzione» ha detto la segretario dell'organismo, la giurista francese Elizabeth Montfort. L'obiettivo è quello di tornare a porre se non in primo piano, almeno all'attenzione dei 25 la «comunanza ideale» degli europei, sviluppatasi grazie anche alle chiese che hanno operato per secoli nel continente. «Nessuna voglia di christian pride, nessuna rivendicazione per gli spazi concessi all'Islam, ma non è più ammissibile che i cristiani in Europa siano resi completamente muti nel dibattito politico che ci impegna» è tornato ad insistere Mauro.
Primo appuntamento di rilievo, la prossima settimana a Roma. Esponenti del Ppe, in primo luogo proprio il vicepresidente dell'Europarlamento, illustreranno l'iniziativa nel corso del 30° congresso del partito. Sapendo che dal presidente, il belga Mertens, è già giunto un via libera.

E che anche altri sono interessati a sviluppare la lobby in difesa dei principi cui dicono di ispirarsi, messi in angolo oggi da interessi di tutt'altro genere e da una tutela delle minoranze che rischia, esasperandosi, di schiacciare e far sparire quelle che sono maggioranze.

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