E in Piazza Affari la compagnia vale in pratica zero

La capitalizzazione è di 1,1 miliardi. Poco più degli 820 milioni ancora in cassa

Angelo Allegri

da Milano

Con l’ultimo calo di ieri il valore in Borsa di Alitalia è di poco superiore agli 1,1 miliardi. In pratica l’ammontare dell’aumento di capitale di meno di un anno fa. Di quei soldi circa 820 milioni sono ancora in cassa e fronteggiano debiti per poco più di 900 milioni. Se si tiene conto degli asset fisici della società (uffici, terreni, un centinaio di aerei) e del fatto che nei bilanci sono segnate immobilizzazioni fisse per circa 3 miliardi, si capisce quanto Piazza Affari valuti l’attività tipica della compagnia aerea Alitalia: praticamente nulla. Il fatto è che per quella che una volta si chiamava compagnia di bandiera vale il paradosso del calabrone: in base alle leggi fisiche il voluminoso insetto non potrebbe volare. Alitalia non potrebbe volare se valessero le leggi economiche. Ad ammetterlo è stato lo stesso Giancarlo Cimoli nel documento presentato alla Commissione trasporti della Camera qualche giorno fa: nell’attuale constesto la società «non è in grado di generare redditività».
In occasione dell’aumento di capitale di fine 2005 Cimoli aveva previsto un risultato finale positivo per quest’anno. Una previsione più volte ribadita nel corso dei mesi. Fino a metà settembre, quando sono stati resi noti i risultati del primo semestre: perdite nette salite, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, da 125 a 221 milioni. Ora le previsioni dell’azienda sono di chiudere l’anno con un risultato che sarà vicino a quello dell’anno scorso: meno 160 milioni. Una perdita di rilievo, che per di più tiene conto dei proventi straordinari relativi alla vendita dei terreni che la società possiede intorno a Fiumicino. Secondo le stime l’asta in corso potrebbe portare circa 120 milioni. Le perdite dell’attività tipica della compagnia potrebbero dunque essere intorno ai 280 milioni. Sul fronte del costo del lavoro negli ultimi mesi i risultati non sono mancati. Nel secondo trimestre sono scesi del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Non è bastato. Anche perché ad aumentare sono stati i costi per il carburante (più 22%) e tutti gli altri costi operativi (tra l’8 e il 15%).

Nei documenti rivolti al mondo politico Cimoli sembra rassegnato, mentre nell’ultima presentazione agli analisti l’azienda sottolineava speranzosa alcune tra le misure in cantiere: come le azioni per migliorare la produttività del personale e per migliorare il servizio offerto ai clienti business. Obiettivi volti soprattutto ad aumentare i ricavi. Forse il vero punto debole degli ultimi tempi: nei primi 6 mesi, grazie anche agli scioperi, sono inferiori di quasi 200 milioni ai budget previsionali.

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