E la politica diventa un reality show

Le mani a caccia: i microfoni, la cravatta, i microfoni, la tasca, l’orologio, i microfoni, gli occhiali, la fronte, i microfoni, il polsino, la cravatta, i microfoni, la tasca, i microfoni, gli occhiali, i microfoni... Era in piedi ma scomodo Gianfranco Fini. Ha tormentato i microfoni per tutta la durata del suo discorso e dopo, quando ancora disperatamente gliene sarebbe servito uno, non ne aveva più a disposizione. Però era pieno di repliche in corpo, così si è alzato, gesticolando afono sotto al palco. Mentre Silvio Berlusconi parlava. Padrone di casa e pacifico di mani nel chiedere al presidente della Camera una cosa tanto chiara da spezzare qualsiasi difesa: o fai questo, o fai quello.
Ha un bel dire Pierluigi Bersani che quello di ieri al direttivo nazionale del Pdl, tra Fini e Berlusconi, è stato uno «spettacolo indecente». Intanto è stato uno spettacolo. Dal quale la politica non tornerà più indietro. La democrazia televisiva del presidente del Consiglio: sapeva che ieri sarebbero andati a sbranarsi e ha messo lo scontro a disposizione di tutti. In un derby tra persone che non riescono a non stimarsi. Che hanno lanciato lava e lapilli, che non hanno nascosto la cenere sotto al tappeto. La diretta di SkyTg24 sul vertice di un partito avrebbe potuto essere appassionante quanto un documentario sul cavolo peloso. Invece è stato uno show di dignità e tensione degno del senato romano. Quasi una cronaca ciceroniana, una pagina di Tacito. Con due sfidanti che sceglievano le parole con cura e i gesti ancor di più. Con Berlusconi che dal banco laterale faceva segno a Fini di stringere per distanziarsi ancora un po’ dalla politica prolissa, per sottolineare ancora un po’ che lui è l’uomo del fare che non si perde in chiacchiere. Accompagnando le parole dell’avversario con certe espressioni che facevano tanto venire in mente Maurizio Costanzo ai tempi d’oro del suo show. Quando, appollaiato dietro all’ospite, era capace di ucciderlo con la sola increspatura di un sopracciglio.
Con Fini che, dopo l’arringa, controbatteva da seduto, che replicava ascoltato solo dal vicino Bonaiuti, che non riusciva a comprimere i dissapori di mesi, che non sapeva distendere i lineamenti durante il suo ideologico salto mortale all’indietro. Fino al delirio autolesionista che l’ha portato a mimare con le abusate mani il gesto di uno che se ne va.
Forse anche una diretta sugli stati generali della vecchia Dc sarebbe stata così appassionante per i telespettatori, anche se probabilmente avrebbe richiesto l’intervento dei traduttori per decriptare il gergo democristiano, per rendere limpidi i messaggi trasversali, per afferrare il senso. Ma certo ieri l’esordio in questa nuova era mediatica della politica non avrebbe potuto avere protagonisti migliori. Copione migliore. Fatto di parole chiarissime, di accuse chiarissime, di risposte chiarissime, di alleanze chiarissime.


Due giganti con una guerra in mezzo. E tutto quello che sono, inquadrato da vicino. Le mani, gli occhi, i gesti, i grumi dentro da sciogliere. Bruto e Cassio e tutte quante le stelle in alta definizione, col tasto «rivideo».

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