E lo staff di Romano teme il duello tv

I consiglieri del Professore: «Stiamo ancora ragionando se farlo o no: lui non è attrezzato, quello non è il suo mestiere»

Luca Telese

da Roma

Entri e il colpo d’occhio ti stupisce, a prima vista non sembra neanche una riunione politica, un seminario piuttosto, l’assemblea di un consiglio di amministrazione della Seat. Non c’è neanche un simbolo di partito e nemmeno di coalizione, non ci sono la Quercia o la Margherita e nemmeno l’Arcobaleno. Invece è la presentazione del programma di Romano Prodi al Teatro Eliseo di Roma stracolmo per l’occasione, gente per strada e dentro le prime tre file gremite da tutto lo stato maggiore del centrosinistra.
Ci sono anche coloro che si sono scambiati accuse ferocissime. Ecco la faccia rubiconda di Leoluca Orlando e proprio alle spalle di Rutelli, il suo grande nemico. Ecco in prima fila Tonino Di Pietro, lo trovi a fianco di Clemente Mastella con la sciarpa arancione che nemmeno fossimo in Ucraina. Eccoli tutti «uniti». Forse non ci credono nemmeno loro stessi, ma di fronte all’autorità di Prodi fanno finta di essere alleati.
La vera novità però è in questa scenografia asciutta: il colore dominante sui tre grandi schermi è il giallo canarino del «cantiere» ulivista, c’è solo una scritta, Per il bene dell’Italia, e in basso cinque striscioline bianche intervallate, sembra il logo della Telecom. Se cammini dietro le quinte, incontri la squadra degli uomini-immagine del Professore. Ti spiegano che non è ovviamente un caso, che fa parte di una strategia. E che questa sobria manifestazione è il simbolo dell’ultimo cambio di marcia, per dirla con Giulio Santagata, uno degli uomini-macchina del Professore: «Noi Berlusconi non potevamo mica inseguirlo sul suo terreno, quindi dovevamo fare una cosa del tutto diversa». Diversa è diversa, non c’è dubbio. Tanto è vero che Prodi legge il suo discorso direttamente dal testo scritto e non si concede nessuna battuta a margine, parla con grande lentezza, come un professore che sta tenendo un seminario. La platea è calda, ogni tanto qualche grido, dal loggione, mentre gli stati maggiori fanno bella mostra in platea. E c’è questo strano scompenso, fra i due pubblici che poi sono le due anime della coalizione, stanno sempre insieme, ma non si incontrano mai. Il pubblico grida «Uniti, uniti» mentre Piero Fassino e Rutelli quasi non ci credono.
Dietro le quinte incontri per esempio Silvio Sircana, lo stratega della campagna elettorale, uno che ti dice senza troppi giri di parole: «Sì, la nostra scelta è questa, non potevamo mandare Romano in televisione a inseguire il Cavaliere, non è attrezzato, non è il suo mestiere, non può». Un sorriso: «Io dico sempre che lui è un diesel, come i motori di certi pescherecci che fanno tu-tu-tu-tu-tu». Sì, Prodi è un diesel, a questo pubblico piace per questo ed è curioso che appena finisce di parlare, i segretari di partito dell’Unione saltino subito sul palco come per recuperare la scena. Ti giri e vedi Piero Fassino che si piazza davanti a una telecamera mentre viene battuto un ciak di legno, identico a quello del cinema: «Segretario, lei è su Telecamere». E subito a fianco c’è Rutelli che dice: «Facciamo una battuta rapida per il tg» e subito tutti i leaderini che scalpitano dopo la quaresima.
L’unica fiammata, in questa liturgia severa e controllata, è l’ingresso in scena di Sandra Ceccarelli, l’attrice rivelata da Luce dei miei occhi, una che nella coalizione quasi ci sta stretta, piena di radicalità e di passione, per lunga parte della sua vita ha vissuto in una casa occupata. L’ha arruolata - con un piccolo colpo di genio - Santagata e il suo bel viso subito ravviva il finale del discorso di Prodi, lei entra stretta in un tailleur blu, le hanno scritto persino la battuta che deve dire, nulla è lasciato al caso. Quando esce tira fuori tutta la sua ironia: «Mamma mia, un’altra cosa così e prendo il posto di Flavia Vento!».
Sempre in cima al Professore c’è Sandra Zampa, il mastino del suo ufficio stampa e seduto dietro alcuni fondali si intravede Ricky Franco Levi, uno dei consiglieri più stretti del Professore: «Ovvio che la scelta di non mettere simboli non sia stata casuale. Vogliamo dare un messaggio secco, svincolato dall’immagine politica o di partito. È venuto bene, no?». E poi: «Romano può farcela solo se riesce a trovare una comunicazione opposta a quella di Berlusconi». Sircana aggiunge: «Ancora stiamo ragionando se fargli fare il duello e come. Romano ha fatto bene a non andare in tv in questi giorni, mica potevamo trasformarlo in una ballerina».


Così alla fine ti resta negli occhi questa impressione strana, quel giallo canarino così sobrio, le due facce di una coalizione che oscilla tra la pedagogia del Professore e l’arrembaggio degli altri leader, il paradosso di una campagna elettorale che vede da un lato un imprenditore che usa la televisione come megafono della sua campagna politica e dall’altro di un politico di lungo corso (Romano Prodi è stato ministro della Prima Repubblica) che insegue i moduli dell’azienda per sottrarsi all’inflazione della comunicazione elettorale.
Esci dall’Eliseo e pensi che la strategia della «sottrazione» non ha via di mezzo. O è una mossa geniale, o è un errore che verrà ricordato nei manuali di comunicazione politica.

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