E il Transatlantico rivive una giornata da prima Repubblica

Faide e governicchi che riportano indietro nel tempo: dagli «esecutivi della non sfiducia» a Fanfani affossato dalla «sua» Dc

da Roma

Chi soffre e s’offre per far Fanfani? Oltre a Prodi ovviamente, che pur di non mollare Palazzo Chigi è pronto a tutto come s’è visto, e se sfrattato ci tornerebbe a qualunque titolo e con qualunque maggioranza. In fin dei conti, l’alternativa è se andare ad elezioni in primavera col Prof dimezzato agli affari correnti o con un governo ponte come tornerebbe comodo a Veltroni e agli altri furbetti del quartierino Pd, che Prodi vorrebbe veder distrutti, polverizzati. Per un tal governicchio andrebbe bene pure Dini, perché no Pannella al limite, che interrogato se accetterebbe l’incarico eventualmente offertogli da un Napolitano che non sa più su quali specchi arrampicarsi, risponde tranquillo e sicuro «sì». Dunque perché non un paradosso come il sesto governo di Amintore Fanfani, nato per farsi bocciare dal suo partito pur fiduciato dagli avversari?
Vai coi governi balneari, quelli della non sfiducia, tecnici, di decantazione, del presidente, delle convergenze parallele e delle cento formule che han fatto grande la prima Repubblica, gran fattrice di foglie di fico. Nel gran pantano provocato dallo scontro tra Prodi e i suoi rampolli - Giove almeno aveva un buon motivo per far fuori il padre Saturno: lo aveva visto mangiarsi tutti gli altri suoi figli - sta imputridendo la politica, e poiché nessuna cima scende dal cielo, si van cercando salvagenti nel passato. Nel Transatlantico agitato e nervoso - immaginate un recinto di buoi che sente l’ululato dei lupi - che ieri sera attendeva lumi o anche uno sprazzo che non venivano né da Palazzo Chigi né dal Quirinale, tutti ad interrogarsi «sale a dimettersi o no?», «ma davvero vuole andare al Senato?», «ma no, ormai è sicuro che non può farcela», «ma sì, vuol vedere in faccia chi gli spara, piuttosto che bere la cicuta come vorrebbe Veltroni», nell’ennesimo giorno di caos calmo, dicevamo, han ripreso a rifiorire le ipotesi rappezzatrici che sembravano sepolte con la prima Repubblica. Non è nel cuore e sulla bocca di molti esponenti di centrosinistra, la soluzione di un nuovo governo che nasca col destino dichiarato di farsi impallinare al primo vagito? E Cirino Pomicino, che è vivo e lotta insieme a loro, da un divano del Transatlantico ha sorriso: «Perché no, rifacciamo l’ultimo governo Fanfani».
Vent’anni fa, primavera del 1987. A causa di presunti patti non rispettati, la «staffetta» tra De Mita e Craxi, a gennaio la Dc s’era ritirata dal governo presieduto da Craxi, facendolo cadere. La crisi si trascinava da 90 giorni, Cossiga aveva dato l’incarico a mezzo mondo, pure alla comunista Jotti, senza cavarne un ragno perché la Dc voleva De Mita e il Psi piuttosto si sarebbe tagliato mani e piedi. Non restava che andare ad elezioni, ma Pannella tuonava perché era in arrivo la solita raffica di referendum, e Bettino lo appoggiava affinché si tenessero. Così Cossiga incaricò Fanfani, gloria dello Scudocrociato, per un monocolore di transizione, che permettesse di far svolgere i referendum e andare alle elezioni al più tardi l’anno dopo. Governo insediato il 17 aprile ’97, Andreotti agli Esteri, Scalfaro all’Interno e Gifuni (sì, il longevo segretario generale del Quirinale) ai Rapporti col Parlamento. Ma a De Mita non piaceva, e il giorno della fiducia proprio la Dc votò contro Fanfani, il Pci si astenne, e a votare per il «tappo maledetto» furono radicali e socialisti.
Paradossale? Vedremo alla fine di questa crisi sbrindellata, ma se una vecchia volpe come Andreotti non vede «temporali», dice che «non c’è clima di elezioni» e assicura che Prodi resisterà allo sfratto, vuol dire che è ormai obnubilato o troppo saggio, ma sarebbe temerario scommettere sulla prima ipotesi. Il guaio semmai, è che questa seconda Repubblica non ha gli uomini adatti per le emergenze. C’è qualcuno ad esempio, specializzato in governi di decantazione? Forse Marini, ma non ha esperienza ed è inaffidabile, punterebbe a trasformarlo in governo istituzionale a lungo termine. Allora, quando si doveva sfornare un governo balneare, era sempre pronto Giovanni Leone.

Oddio, c’eran pure le incognite come Tambroni, che la sua Dc gli diceva di andarsene e lui resisteva coi voti del Msi. Ma com’è che proprio De Mita, commentando il discorso di Prodi l’altroieri, ha sibilato «sembrava di ascoltare Tambroni»?

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