E in vacanza trionfa il regalo radical-kitsch

La gondola di Venezia effetto notte, con le luci soffuse e immancabile carillon a molla. Il carretto siciliano con le piume garantite antiallergiche. La scatola di cioccolatini a forma di testa di Tuthankamon, resistenti, sembra, persino alle temperature egizie. La palla di neve con il Titanic effetto mal di mare, che non si decide mai ad affondare. Il gelato liofilizzato spaziale, garantito anche per palati terrestri di città. Il trullo di Alberobello a grandezza quasi naturale con il tetto decappottabile per farci chissaché. Il cappello con corna di cervo incorporate di peluche e poi apribottiglie parlanti, santi benedicenti trasformati in acquasantiere, conchiglie mutate in tartarughe equilibriste con occhiali, berretto di paglia e testa mobile che fa sempre sì, insomma soprammobili della signorina Felicita anni Duemila, e mille altri “ricordini”, trofei dei turisti desiderosi di portarsi a casa pezzetti del mondo il più possibile kitsch.
CHI LI AMA E CHI LI ODIA
Tempo di vacanze, tempo di souvenir. Un’abitudine antica che avevano anche i turisti dell’altroieri, consolidatasi nel Settecento quando i viaggiatori in cerca del bello cominciarono a visitare i cinque continenti e a riportare a casa piccoli ninnoli d’artigianato locale conservandoli come testimonianza della loro esperienza unica e avventurosa. Certo, oggi i tempi sono cambiati e il rischio per i turisti di massa è acquistare oggetti made in Italy anche quando si è all’altro capo del mondo o, peggio, made in China anche nella più insospettabile riserva indiana. Per questo i viaggiatori hanno modificato un po’ le loro abitudini e preferiscono portare a casa prodotti gastronomici, nostrani o altrui. Secondo una ricerca effettuata da Astra Ricerche il 51% degli italiani acquista formaggi, vini e salumi, e pazienza se non sono proprio tipici del luogo di villeggiatura, l’importante per il 28% è che costino meno che in Italia. «Questa tendenza è il segno della globalizzazione», commenta Enrico Finzi, presidente di Astra Ricerche. «Ma esistono anche fattori puramente economici: in molti Paesi, persino europei, in cui il tenore di vita è più basso rispetto all’Italia, esiste la possibilità di acquistare prodotti ad un prezzo decisamente inferiore».
LECCORNIE PER TUTTI
Gourmandies che vanno e che vengono. Secondo la bottega gastronomica on line Esperya i prodotti alimentari che gli stranieri mettono in valigia sono nell’ordine il parmigiano reggiano (16%), il pane di Altamura (13%), la mozzarella di bufala campana (13%), la pasta pugliese (11,5%), l’olio toscano (10,5%), il Brunello di Montalcino (10%), il limoncello di Sorrento (8%), l’aceto balsamico di Modena e il Chianti a parimerito (6%) e il cioccolato piemontese (5%). A scegliere i souvenir gastronomici è il 45% dei turisti stranieri, primi tra tutti gli svedesi (70%), gli americani (58%), i cinesi (31%) ed i russi (28%).
Dopo i “ricordini” goderecci gli italiani prediligono acquistare e regalare, sempre secondo Astra Ricerche, i capi di abbigliamento, le borse, le valigie, gli oggetti high tech, la bigiotteria, i profumi, i libri fotografici. Oggetti pratici ed utili, il modo migliore anche per evitare l’effetto bomboniera, ovvero doni che non appena consegnati, stando attenti a non romperli, a non farseli rubare o sequestrare, e quindi non appena ricevuti fanno la fine della maggior parte dei portaconfetti, ovvero vanno dritti in un cassetto, dimenticati come reperti archeologici. Difficili da riciclare, impossibili da occultare negli scaffali della libreria.
I FAN DEL SACRO
Resistono comunque numerosi i tradizionalisti, quelli che non rinuncerebbero mai al classico souvenir d’altri tempi, da bancarella. Non è certo per risparmiare, visto che la spesa media per chi acquista en plein air o nei negozi specializzati in paccottiglia è di 25 euro, con punte di 100 euro. Ma cosa si sceglie? Secondo una ricerca della rivista on line Marketing tv un vacanziero su tre (il 29%) si scopre mistico e porta a casa un oggetto sacro. Seguono gli oggetti in vetro di Murano (14%), le ceramiche di Caltagirone (12%), quelle di Capodimonte (12%), le gondole di Venezia, con o senza luce (10%), i pupi e i carretti siciliani con o senza frutta martorana d’accompagnamento (8%), il David di Michelangelo in plastica o altro materiale povero (6%), le croci Tau e le icone francescane (5%), le statuette di Padre Pio in plastica (4%), i trulli di Alberobello in gesso (2%). In ribasso, invece, le quotazioni del Colosseo in miniatura giudicato dai turisti eccessivamente kitsch.
UN GADGET DA MUSEO
Ma la novità degli ultimi anni arriva dai musei, dotati ormai di vere e proprie boutique d’arte dov’è possibile acquistare gioielli, statuette, dipinti fatti ad immagine e somiglianza dei capolavori esposti nelle sale sotto stretta sorveglianza, come capita in centodiciotto gallerie e pinacoteche italiane e in molte altre straniere. Pezzi firmati, almeno nell’originale, Van Gogh, Leonardo da Vinci o Turner, souvenir “colti” che hanno un prezzo spesso proporzionato alla fama dell’autore e in continua crescita, tanto che se nel 1998 in questo genere di gadget sofisticati si spendevano 14 milioni di euro oggi si è arrivati a quasi 45 milioni, anche perché c’è chi è disposto a sborsare persino tremila euro per mettersi nel soggiorno di casa la riproduzione in bronzo di statue greche e romane ammirate nei musei italiani.
Souvenir come certificazioni di viaggi non soltanto sognati e idealizzati ma anche finalmente realizzati. Però per i maniaci dei ricordini a tutti i costi un paio di incognite ci sono: una è viaggiare verso destinazioni dove i gadget non hanno ancora spazio e, forse, non l’avranno mai. Prendiamo l’Antartide, per esempio, terra di ghiacci e di pinguini ma non certo di negozietti per turisti, come fare per non tornare a mani vuote, deludendo i parenti più sadici che attendono sempre con ansia un ricordino dall’altro capo del mondo? Oppure cosa fare se non si vogliono trasportare chili di valigie col rischio di dover pagare il supplemento per bagagli in sovrappeso e soprattutto se si vuole evitare l’imbarazzo di attendere che il nastro scorrevole all’aeroporto sputi, oltre a zaini e trolley, sombreri king size e didgeridoo a grandezza disumana come non suonano nemmeno i musicisti aborigeni? In questi casi la soluzione è il web. Basta essere previdenti e ordinare prima di partire mousepad con pinguini ammiccanti, t-shirt glaciali, sciroppi di cactus, regalini a tema, stivali da cowboy, torri di Pisa retroilluminante e tutto quanto fa souvenir, con la certezza che arriveranno a casa prima di voi, pronti da impacchettare, senza problemi di peso, e così la bella figura con tutti è assicurata.
Ma è proprio sui siti internet che vi sono anche i traffici più stupidi di souvenir, come, purtroppo, capita tutte le estati: con pochi euro si possono ricevere a domicilio bustine di sabbia prelevata dalle più belle spiagge italiane, da Capoliveri a Salina, oppure i sassi levigati della spiaggia di Pomonte, o i ciottoli picchiettati di nero dell’arenile delle Chiaie, rubati da turisti pronti a speculare sugli angoli più suggestivi del nostro mare.

Ha proprio ragione l’antropologo Duccio Canestrini che al tema dei ricordini ha dedicato anche un libro, Trofei di viaggio, quando afferma: «I souvenir sono una prerogativa dell’homo turisticus. Di che si tratta? Di una degenerazione genetica e culturale dell’homo sapiens».

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