Ebrei di destra e di sinistra restano lontani

Nella sala azzurra non c’è che un’ora per chi presenta un libro, tre minuti prima che scocchi arriva una signorina a annunciarti che devi sgomberare, ci fossero anche dieci relatori a discutere le sorti del mondo. Ieri eravamo in quattro alle diciotto, il famoso demografo professor Sergio Della Pergola arrivato fresco da Israele, un altro famoso demografo, il professor Livi Bacci, Gad Lerner e io. Un libro politico, pieno di cifre che devono alla fine far scaturire per forza un’opinione politica, per un sì o per un no. Le sorti del mondo, comunque le devi determinare in un’ora secca, fino alle diciannove, hai pochi minuti. Lerner e io eravamo reduci da uno scontro legato alla sua trasmissione L’Infedele, poi placatasi, come ha detto Lerner «per la mia itcansut («convergenza» o «rientro» in ebraico, parola che definisce il ritiro dei settler da territori occupati) per consentire a tutti di partecipare».
Il libro di Della Pergola - Israele e Palestina, la forza dei numeri (Il Mulino) - racconta bene l’intera storia dell’area, e sostiene che la crescita demografica dei palestinesi e degli arabi israeliani costringerà senza remissione Israele a rinunciare ai territori se vuole vivere in pace. È un’idea che in pratica suggerisce in altra forma il tema di land for peace, pace in cambio di terra, proprio quello che Israele ha sempre cercato di attuare senza mai ottenere altro che violenza in cambio. Non c’è tempo per un vero dibattito, e forse è giusto così: grande è il mare che ci separa, è la percezione stessa dei temi che è così diversa. Della Pergola e Livi Bacci riportano i contenuti del libro, ma Lerner e io esprimiamo visioni di Israele, e quindi del mondo e dell’ebraismo, che sono lontane, molto lontane, nonostante ambedue si desideri la stessa soluzione, due stati per due popoli.
Oggi il mondo ebraico è ancora molto diviso su come valutare quello che è accaduto in questi anni di tentativi di conferire ai palestinesi spazio, terra, autonomia. Lerner esprime un’idea dell’ebraismo che ha a che fare con la tolleranza, la mescolanza delle etnie e delle culture, con l’idea di esilio, di diaspora e di meticciato, vede nella sua origine e nella storia della sua famiglia un’esortazione al cosmopolitismo. Io vedo il cosmopolitismo come una ricchezza da superare, amo l’idea di una casa piccola ma adatta alla mia famiglia, a rispecchiarne la cultura e a proteggerla. Mi piace che Israele abbia ricondotto a unità le maree di lingue e colori diversi provenienti dai quattro angoli del mondo, mi piace il respiro dell’identità forte che ha creato il monotesimo, la sua costruzione esclusiva della tradizione giudaico-cristiana della democrazia e dei diritti umani, l’identità rimasta salda per millenni aspettando di tornare a casa e ripetendoselo tutti i giorni. Gad esprime l’idea che la cultura dell’odio e del terrore sia uno dei tanti fattori che influenza lo scenario mediorentale. Io penso che se essa fosse stata sanzionata senza pietà saremmo più vicini alla pace e capendone la dimensione letale, da Hamas agli Hezbollah che in queste ore funestano di nuovo il futuro del Medio Oriente tutto, il tema land for peace sarebbe più pertinente. Oggi, è soltanto una pia illusione pensare che cedendo ancora terra si faccia il bene di Israele. Resta fra noi una grande distanza. Forse, speriamo, è l’inizio di una discussione.

Forse no.
Tutti applaudiamo quando Sergio Della Pergola si dispiace che alla nostra discussione non fosse presente anche un palestinese, e auspica che alla prossima discussione alla Fiera del Libro ci si possa sedere insieme.

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