Eccesso di alta velocità

Se non fossero in giuoco migliaia di posti di lavoro, l’attuazione di una grande opera fondamentale, il prestigio e la credibilità del Paese, gli esercizi acrobatici del centrosinistra sul problema Tav potrebbero anche risultare divertenti. Lo fu, ma si trattava d’un pezzo di bravura cinematografico, la felliniana Prova d’orchestra. Pur senza alcuna dimostrazione di talento artistico Prodi, Fassino, Bertinotti e compagnia eguagliano o addirittura superano, nel disordine e nella caotica incapacità d’accordarsi, l’invenzione felliniana.
La Tav non c’è nell’alluvionale programma progressista, ma Prodi garantisce che è sottintesa in un enigmatico accenno al «corridoio n. 5». Fassino aggiunge con imbarazzo che «la formulazione poteva essere più esplicita», Bertinotti invece è esplicitissimo nel ribadire che il tema Tav «è rimasto fuori perché non c’è ancora la maturità per una scelta in questa direzione». Il verde Pecoraro Scanio, che invece la maturità l’ha raggiunta, propone di «discutere con le comunità locali». Nel centrosinistra, su un punto cardine per la futura azione di governo, regna come ognun vede il tipo d’intesa che caratterizzò un tempo i Balcani, «polveriera d’Europa». Di progressivo, tra i progressisti, sembra esserci soltanto la paralisi.
Di fronte a questo marasma è non dico sorprendente, ma senza dubbio piuttosto patetica, la reticenza dell’Unità, quotidiano di punta della sinistra. All’Unità piace molto di dar lezioni di costumatezza giornalistica agli avversari. È lecito, in questa circostanza, avanzare dubbi sulle sue rampogne virtuose? Ho letto con attenzione il numero di ieri: e per quanto abbia cercato, non sono riuscito a rinvenirvi un solo servizio dedicato alla Tav, che pure - lo si vede dalla ridda di dichiarazioni degli esponenti dell’Unione - è argomento infuocato, e di strettissima attualità. Di grandi opere l’Unità si occupa, ma solo per denunciare un ipotetico conflitto d’interessi del ministro Lunardi. L’articolista Nicola Tranfaglia spiega, in un lungo intervento, «cosa vogliamo da Prodi». Vuole molte cose riguardanti i più vari settori della vita nazionale, ma sulla Tav nulla, non sappiamo se Tranfaglia la approvi o la disapprovi. Una serie di personaggi «d’area» è stata interpellata sul fisco, sulla scuola, sulla laicità, sull’immigrazione, ma per l’Alta velocità di nuovo nulla.
Penso proprio che non si tratti di riserbo, di timidezza, o dell’inutilità d’affrontare una questione già risolta. Si tratta di ben altro. L’Unità, e il centrosinistra in generale, per la Tav non sanno che pesci pigliare, la cosiddetta coalizione è - su questo punto come su altri - dilaniata e rissosa. Il comunista (Pdci) Rizzo sentenzia, con il plumbeo pragmatismo di nomenklature scomparse, che «dividersi adesso non sarebbe saggio». Lasciamo stare la Tav, suggerisce, insistiamo invece sulla «messa in sicurezza dei treni». Ossia parliamo d’altro. Gli italiani desiderano invece - questa è la mia impressione - che della Tav si parli: perché l’atteggiamento delle opposte alleanze di fronte a dilemmi di questa importanza e di questa delicatezza è, nella vigilia elettorale, una cartina di tornasole: ossia un pronostico attendibile sulla concretezza, sulla credibilità, sulla capacità decisionale di chi guiderà l’Italia nella prossima legislatura.

Si può non essere entusiasti di tutto ciò che il governo Berlusconi ha fatto, molti non lo sono anche nelle file moderate. Ma davanti al caso Tav, confessiamolo, la prospettiva di doversi affidare alle decisioni (sic!) del centrosinistra di Prodi è, se non terrificante, almeno preoccupante.

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