Professor Stefano Zecchi, perché si candida alle elezioni regionali con Fratelli d'Italia invece che con Forza Italia?
«Perché credo che con Fratelli d'Italia posso essere più presente negli scambi di visione e opinione. Ho dato la mia disponibilità a un partito conservatore con più anime, anche se il vero federatore è stato Berlusconi, benché non si sia ancora fatto il passo decisivo verso il modello della Csu bavarese».
Le piacerebbe fare l'assessore regionale alla Cultura? Quali i suoi principali progetti?
«Sono a disposizione se le dinamiche politiche lo consentiranno: è anche questo il senso della mia partecipazione. Il mio obiettivo sarebbe legare la cultura della Lombardia, con un ruolo di coordinamento, all'Europa confinante, da Baviera e Austria a Slovenia, Svizzera, al sud della Francia. Questo consentirebbe di realizzare, senza grandi proclami, una piccola Europa della cultura attraverso scambi di studio, congressi, messa a sistema di conoscenze e attività di ricerca. Da presidente del museo delle Scienze di Trento, è stata la mia missione».
Lei ha fatto parte del cda del Piccolo Teatro e del Parenti, è stato presidente dell'Accademia di Brera, la Regione è nel cda della Scala. Come vede il futuro di queste grandi istituzioni?
«Per mia esperienza un amministratore deve favorire il più possibile le energie presenti nelle singole istituzioni e non mettere il suo cappello. Al contempo, penso al modello tedesco, un assessore è anche un interlocutore, non un erogatore di denaro a pioggia. Parliamo della Scala. Nella mia visione, è importante legare le energie alla storia che l'ha resa tanto importante nel mondo. Se l'ombelico con la tradizione viene tagliato, si arriva all'oggi: la Scala è un grande teatro europeo ma senza le caratteristiche di identità che esistevano al tempo di Muti e di Fontana».
Che cosa pensa della grande tradizione teatrale milanese, dal Piccolo al Parenti?
«Il Parenti porta avanti una riflessione sulla cultura con i piedi ben piantati in una tradizione ma guardando avanti. Questo non è più accaduto al Piccolo Teatro: la sua crisi è dovuta al non aver mantenuto la storia di Strehler che avrebbe dovuto essere sviluppata e non cancellata. Al Festival per celebrare Strehler c'erano quattro gatti. Questo mi porta a dire che esiste un modello Parenti, mentre questo non vale per il Piccolo e la Scala».
Che cosa ha imparato durante l'esperienza all'Università di Calcutta?
«Era molto diverso il tipo di utenza: giovani commoventi per il modo in cui studiavano, per il senso della vita e la percezione che l'India affidava loro il futuro, il senso dello sviluppo della loro terra. Da noi i ragazzi sono evocati con un'attenzione che sparisce alla fine delle elezioni, per questo non si interessano alla politica. Lo vedo con mio figlio di diciannove anni».
Che cosa ha a che vedere l'estetica con la politica? La bellezza salverà il mondo?
«La bellezza è una visione del mondo progettuale, utopica, non dissolutiva e nichilista. Più che salvifica, come dice lei, è un'idea di cultura che rifiuta il negativo dell'esistenza per portare nel mondo una bellezza vivente che sfida la contemporaneità».
Non si rischia di dare un'idea di bellezza e soluzioni dei problemi
escludente e calata dall'alto?«Questo è il ruolo della democrazia: mettere in discussione diverse opzioni. Il problema è metterle in discussione, non pensare che la politica serva solo a riempire le proprie tasche».
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