Ecco l’Italia che non fa sconti a Gheddafi

Altro che "Disneyland privata" del Raìs: nel 2003 il Sismi guidò una missione internazionale di intelligence che svelò il piano di Tripoli di dotarsi di armi nucleari. Smascherato, il leader libico dovette rinunciare alla bomba atomica

Ecco l’Italia che non fa sconti a Gheddafi

Qualcuno la chiama Disneyland. Qualcuno punta il dito sullo spettacolino non troppo edificante di un Muhammar Gheddafi pronto invocare un’Europa islamica tra nugoli di ragazzine italiane. Dietro quelle apparenze esiste, però, anche un’altra Italia. Un’Italia protagonista delle operazioni d’intelligence che mettono Gheddafi con le spalle al muro, costringendolo a venire a patti con l’Occidente e a rinunciare alle sue ambizioni nucleari. Un’Italia irreprensibile a differenza di altri sul piano del diritto nazionale e internazionale. E per capirlo basta ricordare il caso di Abdul Baset Ali al Megrahi, il bombarolo libico condannato per la strage di Lockerbie e rilasciato in cambio di lucrosi contratti petroliferi. Per stringere quegli accordi Londra non esita a «trasferire» un alto funzionario dei suoi servizi segreti responsabile di tutte le relazioni con il rais ai vertici della Bp. Quel trasferimento garantisce all’azienda petrolifera importanti contratti mentre lo stragista libico viene rispedito a Tripoli grazie ad un certificato medico che ne certifica la morte imminente.

Ma iniziamo dall’Italia, iniziamo dall’operazione del Sismi, allora sotto la guida di Nicolò Pollari, che consente, sette anni fa, di mettere con le spalle al muro il Colonnello. Tutto inizia verso la mezzanotte del 3 novembre 2003 tra le banchine del porto di Taranto. Lo scalo quella notte non prevede operazioni, ma cinquanta minuti prima programmi e regole sono saltati. In capitaneria i funzionari piegati sui radar seguono la scia della portacontainer «Bbc China» in avvicinamento da Suez. Qualche ora prima all’uscita del canale il comandante della nave ha ricevuto l’ordine di annullare la rotta verso Tripoli e dirigere verso le banchine di Taranto. Ad attenderlo c’è un comitato d’accoglienza capitanato da Sismi, Cia ed Mi-6 britannico.

L’operazione - gestita congiuntamente dalle tre organizzazioni d’intelligence - è l’epilogo di una caccia, lunga anni, alla «pistola fumante», alla prova decisiva capace di dimostrare i traffici nucleari dello scienziato pakistano Abdel Khader Khan e le ambizioni nucleari del colonnello Gheddafi. La pistola fumante adesso c’è, si cela in 5 container da 12 metri nascosti in mezzo a 200 altri - assolutamente identici - caricati nella pancia della Bbc China. Quella notte gli uomini del Sismi sono riusciti ad ottenere i numeri che li identificano con precisione. In pochi minuti le 5 casseforti del mistero vengono individuate e scaricate mentre il comandante della Bbc China riceve l’ordine di dimenticare quella sosta imprevista e riprendere la rotta verso Tripoli.

Poche ore dopo gli specialisti di Sismi, della Cia e del’intelligence britannica hanno in mano quello che cercavano. Dai contenitori di legno con il marchio «Scope» confezionati con dei sigilli iraniani saltano fuori frequenziometri, contenitori, pompe, tubi di alluminio e altre parti essenziali per assemblare le centrifughe destinate all’arricchimento dell’uranio. Gli uomini della Cia e dell’Mi-6, i servizi segreti britannici, li inseguono da mesi. Il viaggio è iniziato dalle linee di produzione della Scope, un’azienda di Kuala Lumpur nella cui proprietà figura Kamaluddin Abdullah, figlio del primo ministro malese Abdullah Ahmad Badawi. Da lì i componenti delle centrifughe hanno iniziato una lenta navigazione verso Dubai e le altre rotte su cui sono transitate, nei decenni precedenti, le attrezzature e le tecnologie usate dal Pakistan per costruire la prima atomica islamica. Lungo quelle piste la catena nucleare si è riprodotta nella Corea del Nord e si stava riproducendo in Iran e Libia. Una soffiata ottenuta dagli 007 italiani permette in quel novembre 2003 di mettere Muhammar Gheddafi con le spalle al muro costringendolo a rinunciare ai suoi piani nucleari.

L’atto finale della «stangata» messa a segno sulle banchine del porto di Taranto arriva il 19 dicembre 2003 quando Muhammar Gheddafi conferma l’esistenza di un programma nucleare militare nel suo Paese, ne annuncia la sospensione e autorizza i governi di Stati Uniti e Regno Unito a partecipare allo smantellamento delle proprie installazioni. Il lato meno nobile di quella brillante operazione è il suo successivo sviluppo sul fronte inglese. Nel 2007 la Bp annuncia la firma di un contratto da 54 milioni di sterline per lo sfruttamento del petrolio libico. Gran parte della trattativa è opera di Sir Mark Allen, l’ex capo della sezione mediorientale dell’Mi-6 che nel 2003 gestì personalmente la resa del colonnello e qualche anno dopo si dimise per trasformarsi in un pagatissimo consigliere della compagnia petrolifera.

Ma il sospetto principale, agitato dal Daily Mail e da altre testate inglesi, è che la vera contropartita usata da Sir Mark Allen per

ottenere il greggio libico sia stata la liberazione dello stragista Abdul Baset Ali al Megrahi. Una liberazione ottenuta con il pieno assenso del governo e nonostante la rabbia ed il dolore per le 259 vittime di Lockerbie.

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