Ecco perché l’Italia non è una democrazia

Geronimo

Se in Italia vi fosse una moderna democrazia parlamentare, il presidente della Repubblica avrebbe dovuto dare a Silvio Berlusconi l’incarico di formare il governo ricercando in Parlamento le necessarie alleanze per il semplice motivo che Forza Italia è il primo partito italiano con oltre il 24 per cento. Se, invece, l’Italia avesse avuto un sistema presidenziale probabilmente sarebbe stato eletto per una manciata di voti Romano Prodi (la questione è ancora opinabile visto il maggior numero di voti che il centrodestra ha avuto al Senato). Grazie alla follia di questi ultimi anni l’Italia non ha né una democrazia parlamentare né un sistema presidenziale ma solo una miscela politica sempre più indigeribile.
È questo il cuore del problema italiano. Molti autorevoli opinionisti descrivono un’Italia spezzata in due o due metà della stessa banconota ciascuna delle quali messa nelle mani dei due schieramenti. Tutto giusto, ma nessuno si chiede il perché. E se non si capisce il perché non ci sarà soluzione possibile. Quanti a sinistra e a destra ritengono che devono essere i cittadini a eleggere il primo ministro, devono trovare il coraggio di proporre un sistema presidenziale. In quel caso anche la querula polemica sulla leadership e il metodo delle Primarie avrebbero un senso. Il popolo elegge, come negli Stati Uniti, il capo dell’esecutivo che può benissimo governare anche con un Parlamento di segno contrario perché alcuni sono i poteri di governo di un presidente e altri ancora sono quelli del Parlamento. I due poteri, distinti tra loro e messi a capo a due soggetti entrambi investiti dalla sovranità popolare (presidente e Parlamento) saranno costretti a dialogare e a trovare su alcune questioni di fondo un punto di equilibrio. È quello che accade oggi all’amministrazione Bush che ha un Congresso a maggioranza democratica ed è ciò che è accaduto ieri quando il democratico Clinton aveva un Congresso a maggioranza repubblicana. La stessa cosa è avvenuta nella Francia gollista con il governo Chirac-Jospin. Chi dunque vuole che sia il popolo ad eleggere il capo dell’esecutivo proponga questo sistema. Se invece si sceglie la strada di una democrazia parlamentare allora le alleanze devono essere fatte in un libero Parlamento dopo che il popolo avrà dato a ciascun partito la forza che ritiene di dare.
È ciò che accade in tutte le grandi democrazie occidentali mentre l’Italia sembra caduta nelle mani di buontemponi che vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. A tutto ciò si aggiunge il devastante sistema maggioritario (anche l’attuale sistema elettorale ha quel premio di maggioranza che falsa tutto) totalmente inadeguato in un Paese in cui esistono almeno cinque-sei opzioni politiche vere. In questo caso l’unico sistema che regge è quello proporzionale, con preferenza e con soglia di sbarramento.
Dietro questa confusione istituzionale ed elettorale (sistema presidenziale o parlamentare, sistema maggioritario o proporzionale) c’è una spaccatura ancora più profonda nel Paese che è stata evocata non senza malizia da Ernesto Galli della Loggia. Da molti anni in Italia si scontrano, infatti, due visioni di governo di una società moderna, quella che affida la responsabilità di guida del Paese alle élite politico-finanziarie e quella che sostiene il primato del voto popolare. La prima è dal 1994 in prevalenza appannaggio dei Ds e della Margherita, la seconda è la tesi di Forza Italia e di larga parte dei democristiani. Entrambe le visioni peccano di eccesso e l’unica possibilità di ricomporle in un giusto equilibrio è di scegliere nettamente o il sistema presidenziale o la strada della democrazia parlamentare.


Mai come questa volta tertium non datur. Diversamente lo scontro tra popolo ed élite rischia di portare il Paese alla rovina come hanno dimostrato, buone ultime, la manifestazione di protesta delle forze dell’ordine e la rivolta delle università.

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