Le Banche cambiano Dna più prodotti meno prestiti

La Fabi: le commissioni sui prodotti finanziari superano i mutui. Ma c'è lo zampino della Bce

Le Banche cambiano Dna più prodotti meno prestiti

«Io vado in banca, stipendio fisso, così mi piazzo e non se ne parla più». Di quel mondo lì, cantato dai Gufi, non è rimasto più niente. La banca ha cambiato pelle negli ultimi decenni, ma nell'era dello Zirp, cioè dei tassi schiacciati a zero che comprimono i margini di guadagno, la metamorfosi si è via via fatta più rapida. E ora, sembra davvero compiuta. Dopo aver fatto praticamente sparire gli sportelli, i vecchi speaker corner teatro d'incontro (e di scontro) fra bancari e correntisti, un'altra bandiera della banca d'antan rischia di essere ammainata: i prestiti, la cui colpa è quella di rendere poco e di avere un rischio d'insolvenza incorporato. Meglio, quindi, puntare: polizze e risparmio gestito über alles.

Poca spesa, molta resa, come dimostra un'analisi della Fabi sui ricavi 2020 degli istituti italiani: su 78,1 miliardi di euro oltre la metà, cioè 39,4 miliardi, è stata garantita da commissioni su prodotti finanziari, mentre il credito tradizionale ha portato entrate per 38,7 miliardi. «La distanza tra le percentuali, 50,5% contro 49,5% - sottolinea la prima organizzazione sindacale dei bancari - sembra irrilevante, ma in realtà si tratta di un 'sorpasso' storicamente importante che si riflette sulla clientela».

Quel sorpasso è figlio della forte perdita di redditività: con il Roe sceso dal 6% del 2018 all'1,9% del 2020, le banche cercano strade alternative per difendere i bilanci. «La riduzione dei prestiti, e quindi dei ricavi derivanti da queste attività - spiega il segretario generale Lando Maria Sileoni - è legata anche all'attenzione crescente della Bce alla qualità del credito, con regole stringenti che portano a una riduzione degli impieghi». Di fatto, il controllo sugli impieghi accoppiato alla compressione dei tassi d'interesse crea un disincentivo a prestare denaro. Un paradosso, l'esatto contrario di ciò che vorrebbe l'Eurotower attraverso una politica monetaria lasca tesa a sostenere famiglie e imprese. Così, visto che l'attività di intermediazione tradizionale langue si punta su altro. Con modalità anche discutibili che sollevano, rileva la Fabi, il problema delle «indebite pressioni commerciali subite dalle lavoratici e dai lavoratori bancari, a tutti i livelli», spinti «a vendere sempre di più qualsiasi tipo di prodotto allo sportello: dalle carte di credito ai servizi bancari, dai prodotti finanziari a quelli assicurativi». La clientela viene presa nel mezzo, con il rischio «di trovarsi a dover gestire nuovi casi di risparmio tradito».

Sileoni vede però l'esistenza di «spazi per le banche più lungimiranti che potrebbero finanziare le idee e i progetti delle imprese». A patto di tenere «sotto stretta osservazione questa fase di aggregazioni che produrranno una concorrenza sfrenata».

Infine, il dito d'accusa puntato sui fondi d'investimento stranieri, tra i principali azionisti delle banche italiane, «interessati - dice Sileoni - solo ai dividendi: più sono alti, più gli amministratori delegati preservano le posizioni di vertice».

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