Bankitalia fa «sua» la riforma: «Popolari banche ad handicap»

Il dg Rossi: «Per le prime dieci la forma cooperativa va rimossa al più presto. È nell'interesse dell'economia e lo impone il buon senso»

Nella vexata quaestio delle popolari, la Banca d'Italia si schiera dalla parte del governo, senza se e senza ma. Il direttore generale Salvatore Rossi, in audizione nelle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera, promuove a pieni voti la riforma caldeggiata da Matteo Renzi, che impone per decreto la trasformazione delle maggiori dieci popolari in Spa nel giro di diciotto mesi: «É nell'interesse dell'economia tutta, e la sua approvazione è auspicabile perché lo suggerisce il buon senso».

Non solo: Rossi conferma, per chi avesse dubbi, che il progetto governativo ha l'imprimatur di Via Nazionale. «Stavamo lavorando a una riforma che auspicavano da lungo tempo, più o meno in queste linee», ha detto. E la normativa contenuta nel decreto legge all'esame di Montecitorio «non l'abbiamo scritta, ma abbiamo collaborato tecnicamente con l'esecutivo». Tanto che «siamo pronti a scrivere le misure attuative in pochi giorni» fatti salvi i due mesi di consultazione pubblica previsti dalla legge.

I vertici di Bankitalia però sanno bene che la riforma naviga in acque agitate: quegli improvvisi rialzi a Piazza Affari che hanno determinato, secondo la Consob, plusvalenze stimabili in almeno 10 milioni di euro, soprattutto su Banco Popolare e Bpm, stanno continuando a sollevare numerosi dubbi e a interrogare la classe politica, l'Authority e la magistratura sulla necessità di procedere con tanta urgenza su una materia così delicata. Così, il numero due di Via Nazionale si assume il compito di dimostrare, come un teorema inattaccabile, i principi fondamentali della riforma. Primo postulato: «L'economia italiana ha bisogno e ne avrà ancor più nella ripresa che sta iniziando, di banche efficienti, particolarmente solide, a loro agio nel mercato internazionale, in grado di accompagnare, anzi sollecitare, la crescita dimensionale delle piccole e medie imprese innovative. Crescita da cui dipende molta parte del nostro futuro». Secondo postulato: «Le popolari di maggiori dimensioni, interessate dalla riforma, si sono notevolmente allontanate dal modello di “banca del territorio” a cui erano e restano informate le tante banche cooperative presenti in altri Paesi europei». Conclusione finale: «La forma societaria cooperativa, per intermediari delle dimensioni e della complessità delle 10 maggiori banche popolari, è un handicap che va rimosso al più presto».

Tanto più che nell'area euro è da poco in funzione un sistema di vigilanza comune, che ha posto al suo centro il tema del capitale.

«La forma giuridica cooperativa è uno svantaggio competitivo in questo contesto: se l'aumento di capitale che viene richiesto è, per dimensioni e urgenza, realizzabile solo sul mercato dei capitali, fattori quali il voto capitario e i limiti al possesso azionario e alla rappresentanza in assemblea sono assai poco attraenti per investitori istituzionali», conclude Rossi.

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