«Jay, mi passi il comunicato?». «Eccolo, Christine». Fra Bce e Fed siano arrivati al copia-incolla di politica monetaria. Parafrasando il Manzoni, si potrebbe dire che «s'ode a destra un rialzo di tassi; a sinistra risponde un rialzo». Dopo la stretta di mezzo punto di mercoledì di Jerome Powell, ieri identica è stata la mossa con cui la Bce ha innalzato ieri il costo del denaro al 2,50%. E identici i toni sulla necessità di stroncare, a colpi di ripetute strette, l'inflazione. Non inganni quindi lo stop dato ai giri di vite da tre quarti di punto, prassi consolida tra settembre e ottobre: in atto, non c'è alcun ammorbidimento. Alto e insistente è lo stridio dei falchi dell'Eurotower, e la Lagarde ne è il megafono. Difficile del resto aspettarsi altro da chi, come la presidente della Banca centrale europea, ha rispolverato una crasi degli anni '70 parlando, qualche giorno fa, di «permacrisi». Ovvero, instabilità e incertezza cronici, un vero inno all'ottimismo.
Lei, peraltro, resta sulle barricate, il fucile puntato contro l'ascesa dei prezzi. Fronte caldo, come si evince dalle stime dell'istituto: un 8,3% quest'anno e un 6,3% il prossimo che rottama il 5,5% previsto solo a settembre. Serve dunque una cura drastica, poiché Eurolandia eviterà la recessione (+0,5% il Pil nel '23 e, a proposito di ottimismo, +1,9% nel '24). Così, la medicina è sempre la stessa: «Dobbiamo continuare a lottare contro l'inflazione - ha spiegato l'ex capo del Fmi - . Le informazioni prevedono 50 punti base (di aumento dei tassi, ndr) al prossimo incontro, forse anche a quello dopo, forse in seguito», ha ipotizzato Lagarde. Più che un approccio meeting to meeting, previsioni da Mago Otelma che confliggono con il dichiarato intento della Bce di avere un approccio il più possibile chiaro e delineato per non allarmare i mercati. L'effetto è stato esattamente l'opposto, con le Borse in calo e il surriscaldarsi dello spread Btp-Bund, con l'Italia a pagare il prezzo più alto.
È una reazione naturale, e per due motivi. Il primo è che, per quanto sgangherato sia stato il messaggio trasmesso, l'orientamento espresso da Francoforte si presta a una sola lettura: nessun taglio dei tassi è previsto prima del 2024. Un indirizzo restrittivo che ricalca esattamente quello della Fed. Punto secondo: dall'inizio di marzo partirà il quantitative thigtening, con una riduzione dei titoli in portafoglio per un controvalore di 15 miliardi di euro al mese. In pratica, la Bce smetterà di reinvestire i titoli in scadenza e non cambierà registro fino alla seconda metà del 2023. Poi, potrà ulteriormente tirare i remi in barca.
È il primo assaggio del nuovo corso «senza rete»: finito il Qe di Draghi, esaurito il piano di acquisti contro la pandemia (Pepp), resta in piedi come ammortizzatore solo lo scudo anti-spread Tpi, che tuttavia presenta forti condizionalità sul versante dei conti pubblici per poterne beneficiare. Sarà un caso, ma ieri la Lagarde ha mandato un pizzino al governo Meloni: «L'Italia resta l'unico Paese a non aver ancora approvato il Mes: spero lo faccia presto».
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