Le stime del governo erano sbagliate: il Pil segna -12,8% nel secondo trimestre

L’Istat ha rivisto al ribasso i dati del Pil. La stima preliminare evidenziava una contrazione del 12,4% su base congiunturale e del 17,3% su base tendenziale

Le stime del governo erano sbagliate: il Pil segna -12,8% nel secondo trimestre

La crisi economica provocata dall’emergenza coronavirus si è abbattuta con la forza di uno tsunami sul sistema economico italiano. Gli effetti, purtroppo, già si vedono. L'Istat ha rivisto al ribasso le stime sul Pil nel secondo trimestre: il calo è stato pari al 12,8% rispetto al trimestre precedente e al 17,7% dello stesso periodo dell'anno precedente. La stima preliminare che era stata diffusa lo scorso 31 luglio evidenziava una contrazione del 12,4% su base congiunturale e del 17,3% su base tendenziale. Il peggioramento risulta quindi dello 0,4% sia su base tendenziale che su quella congiunturale. Contemporaneamente si sottolinea che nel secondo trimestre di quest’anno si è avuta una giornata lavorativa in meno sia rispetto al trimestre precedente sia nei confronti del secondo trimestre del 2019.

"La stima completa dei conti economici trimestrali conferma la portata eccezionale della diminuzione del Pil nel secondo trimestre per gli effetti economici dell'emergenza sanitaria e delle misure di contenimento adottate, con flessioni del 12,8% in termini congiunturali e del 17,7% in termini tendenziali, mai registrate dal 1995", ha reso noto l'Istat commentando i dati trimestrali. A trascinare la caduta del Pil, sottolinea ancora l’istituto di statistica, è stata soprattutto la domanda interna "con un apporto particolarmente negativo dei consumi privati e contributi negativi rilevanti di investimenti e variazione delle scorte". Ma non solo, Nel documento, si specifica che anche la domanda estera ha fornito un apporto negativo: ciò è dovuto alla "riduzione delle esportazioni più decisa di quella delle importazioni. La contrazione dell'attività produttiva si è accompagnata a una marcata riduzione dell'input di lavoro in termini di ULA e ore lavorate, mentre le posizioni lavorative hanno subito un calo meno marcato".

Nel secondo trimestre di quest’anno sono diminuiti tutti i principali aggregati della domanda interna, con cali dell′8,7% per i consumi finali nazionali e del 14,9% per gli investimenti fissi lordi. Ad aggravare il quadro vi sono i dati su importazioni e le esportazioni diminuite, rispettivamente, del 20,5% e del 26,4%.

La situazione certificata oggi dall’Istat risulta ancora più preoccupante se si tiene conto che il Pil non cresce ormai da un anno. L’ultimo segno più, un modestissimo +0,1% , risale al secondo trimestre del 2019. Da allora si è registrata una crescita congiunturale "zero" nel trimestre successivo e, quindi, da una serie di andamenti negativi: -0,2% nell’ultimo trimestre del 2019, -5,5% nei primi tre mesi del 2020 e, infine, -12,8% comunicato oggi. La variazione acquisita del Pil, quella che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nei restanti trimestri dell’anno, per la prima metà del 2020 è pari al 14,7%. Il governo stima per il 2020 un andamento negativo del Pil del -8,3%.

I dati sul Pil sono "drammatici" ed "il peggioramento delle stime dell'Istat rispetto a quelle diffuse il 31 luglio rende ancora più difficile l'obiettivo del ministro Gualtieri di contenere a -8% l'impatto dello shock della pandemia sul Pil di quest'anno". Lo ha affermato Massimiliano Dona, presidente dell'Unione nazionale consumatori. "Il calo dell'8,7% dei consumi finali nazionali e, soprattutto, la caduta dell'11,3% della spesa delle famiglie residenti assume risvolti catastrofici per la nostra economia- ha aggiunto Dona-. Inutile dire che, dato che i consumi delle famiglie rappresentano il 60% del Pil, la chiave di volta per risollevare il Paese è ridare capacità di spesa a chi ha avuto una caduta del proprio reddito disponibile".

Preoccupazione è stata espressa anche dal Istat dal presidente nazionale della Fapi, la Federazione autonoma piccole imprese, Gino Sciotto: "Basta chiacchiere e proclami. Il crollo del prodotto interno lordo è da codice rosso. Il Paese rischia di sprofondare nella più grave crisi economica della propria storia. Il Governo la smetta di tergiversare, metta mano ad un piano di rilancio economico e di ammodernamento della macchina dello Stato, capace di restituire fiducia alle imprese e alle famiglie".

Come se non bastasse, altri dati decisamente preoccupanti sono stati forniti da Confcommercio che in una nota ha sottolineato che l’epidemia da Covid 19 brucerà nel 2020 116 miliardi di consumi con una media di 1.900 euro a testa. L’associazione ha spiegato che se a livello nazionale il calo dei consumi sarà del 10,9% rispetto al 2019, per una perdita di 116 miliardi, la diminuzione più forte in termini percentuali si avrà nel Trentino (-16%) mentre nel Molise si registrerà un -7,2%. Il Nord rimane l’area più penalizzata: dei 116 miliardi di consumi in meno stimati per l’anno in corso oltre 65, quindi circa il 57%, derivano dalle otto regioni settentrionali che nel 2019 pesavano per il 52% dei consumi sul territorio del totale Italia.

Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, commentando l'analisi dell'Ufficio Studi della Confederazione sui consumi regionali diffusa oggi ha lanciato l’allarme: "Nessuna area del Paese è stata risparmiata dalle conseguenze del Covid. Nell'anno in corso perderemo oltre 116 miliardi di consumi e circa 9,5 punti di Pil.

Per tornare a crescere, grazie anche ai fondi europei, servono provvedimenti più incisivi e rapidi nella loro applicazione. Il tempo non gioca a nostro favore e i nodi fiscali e burocratici che rallentano la crescita devono ancora essere risolti".

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