Deutsche Bank, una mina per l'Europa

L'istituto tedesco batte in ritirata: ridurrà le attività sui mercati con 10mila tagli

Deutsche Bank, una mina per l'Europa

Altro che le «cenerentole» italiane rimaste per mesi al centro dei radar della Bce, la vera mina vagante del credito in Europa è diventata Deutsche Bank. Alla vigilia dell'assemblea dei suoi 4.500 azionisti che si riunirà oggi, è arrivata la notizia di un'imponente riorganizzazione del personale. Secondo il Wall Street Journal, il colosso creditizio tedesco starebbe studiando il taglio di 10mila posti di lavoro. Dietro alla scure sull'organico ci sarebbe anche la decisione del gruppo di battere in ritirata riducendo drasticamente la presenza negli Usa nonchè le attività in Europa Centrale, Medio Oriente e Africa.

Ad aprile il tedesco Christian Sewing ha sostituito al timone della banca l'inglese John Cryan che dall'inizio del suo mandato, nel 2015, aveva già chiuso quasi 200 filiali in Germania ed eliminato 9mila posti in tutto il mondo. Deutsche Bank oggi conta ancora poco più di 97mila dipendenti (di cui oltre 42mila in patria) ma ha deciso di accantonare le sue ambizioni di banca globale che sfida i colossi di Wall Street; nel tentativo di invertire la rotta dopo tre esercizi in rosso e il cambio di tre ad in sei anni. La direzione di Sewing, in carica da meno di un mese dopo aver guidato le attività di banca commerciale e private banking, è stata subito quella di riorganizzare le divisione di investment bank (Cib) dove il gruppo tedesco non riesce a tenere il passo dei rivali. Ora verranno ridimensionate le attività di trading e sales nei tassi Usa e riviste quelle nei mercati azionari globali.

Nella finanza alle imprese verrà ridotto l'impegno verso settori negli Stati Uniti e in Asia in cui l'attività cross-border è limitata. Non è dunque un caso se a metà aprile la Bce ha chiesto a Deutsche Bank di calcolare i costi di una eventuale liquidazione delle attività di trading.

La simulazione, con una sorta di stress test, era stata collegata da qualche analista alla possibile dismissione di una divisione finora centrale per l'istituto. Tanto che qualcuno si chiede oggi se Deutsche abbia bisogno di mettere una toppa a qualche problema in grado di minacciare la stessa sopravvivenza della banca, magari legato all'enorme mole di derivati e di titoli potenzialmente tossici in pancia all'istituto tedesco.

Ad alimentare la tensione è il dibattito interno con un processo che ha spaccato i vertici e lasciato perplessi gli investitori che hanno già dovuto digerire i conti trimestrali chiusi con un calo dell'utile del 79% a 120 milioni. I titoli di Deutsche Bank sono inoltre scesi di recente ai minimi dalla crisi di fiducia che l'ha colpita nel 2016: un anno fa valevano quasi 17 euro, ieri hanno chiuso a 10,8 euro.

Ma oggi in assemblea il vero campo di battaglia sarà la governance: Hans-Christoph Hirt, responsabile del fondo attivista britannico Hermes Eos, ha scritto una lettera agli azionisti chiedendo loro di sostituire Achleitner, criticato da più parti per le scelte del passato effettuate dall'investment bank, all'origine delle perdite degli ultimi anni.

Nelle scorse settimane anche la società americana di analisti indipendenti Glass Lewis ha inviato ai gestori dei fondi una missiva per valutare la possibilità di presentare una mozione in assemblea per cambiare il presidente. Achleitner è considerato il punto di unione tra la banca e i suoi due principali azionisti: il fondo sovrano del Qatar e il conglomerato cinese Hna che invece sostengono i nuovi vertici.

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