Ecco le bugie sullo spread Un conto di soli 5 miliardi e tutti per colpa della Ue

L'Italia costretta a due manovre da 64 a 63 miliardi. La bufera sui Btp a dieci anni è costata solo 221 milioni più del 2010. Così si può vivere di rendita con i fondi

Ecco le bugie sullo spread Un conto di soli 5 miliardi e tutti per colpa della Ue

Quando la situazione si fa cal­da, bisogna tenere la testa fredda. Analizzando l’andamento degli spread sui titoli a 10 anni dei Paesi della zona euro e calcolati rispetto ai Bund, abbiamo capito alcune co­se banali, ma fondamentali.

1.L’inizio della bufera è il Consi­glio Europeo del 23- 24 giugno, con andamenti e picchi sincronizzati con le principali (non) decisioni eu­ropee, in particolare sulla Grecia.

2. La tempesta degli spread regi­stra la stessa intensità in tutti i Pae­si, con differenze di impatto legate alle situazioni interne, in particola­re le dimensioni dei debiti sovrani.

3. Se lo spread è tradizionalmen­te considerato come la misura del rischio Paese, tuttavia esso, in que­sta congiuntura europea, prescin­de in gran parte dai fondamentali delle singole economie nazionali. E questo è un paradosso ancora in­spiegato. Ne è un esempio l’Italia, che, nonostante l’avanzo prima­rio, l’assenzadi una bolla immobi­­liare, il settore bancario solido e il basso indebitamento delle fami­glie, ha avuto spread peggiori di quelli della Spagna, che non pre­senta i nostri fattori «di tenuta», ma solo un debito pubblico più basso. 4.Non sorprende,allora,che nel­­le aspettative degli investitori, con­tino relativamente poco le misure nazionali di politica economica, le manovre correttive, che pur dando segnali forti sul miglioramento dei conti, finiscono per avere effetti de­pressivi, causando peggioramenti delle aspettative dei mercati e dei relativi rating . Dunque, politiche economiche virtuose, rigorose e re­strittive paradossalmente finisco­no per influenzare in senso negati­vo gli spread nel breve periodo.

5. Al contrario, ciò che ha deter­minato le maggiori oscillazioni e i principali picchi degli spread , in tut­ti i Paesi nel periodo di massima vo­latilità, sono stati fattori esogeni,le­gati all’impotenza Ue contro la cri­si. Un’analisi del diagramma degli spread , confrontato con le date dei vertici europei, fino all’Eurogrup­po del 20 febbraio, che finalmente ha varato un pacchetto (insufficien­te) di aiuti per la Grecia, lo dimostra in maniera disarmante.

6. Quel che sembra contare di più nell’andamento degli spread , sono credibili strategie di lungo pe­riodo, tanto dell’Ue quanto dei sin­goli Stati. Questo spiega la parabo­la dei Bonos spagnoli, che si sono calmierati dopo la più corretta stra­tegia di lungo termine: elezioni e ri­forme del nuovo governo.

Fin qui i fatti. Ma a questo punto una domanda sorge spontanea: quanto ci è costata l’impotenza del­l’Europa nell’affrontare la crisi? In termini economici una cifra certa­menteragguardevolema, edèque­sta la cosa più sconvolgente, del tut­to sostenibile. Confrontando, infat­ti, il totale titoli pubblici, di ogni ca­tegoria e durata, emessi nel 2011 (421miliardi), aunrendimentome­dio ponderato del 3,61% (media che comprende la prima fase virtuosa, fino a giugno, e la seconda parte febbrile), con il totale titoli emessi nel 2010 (467 miliardi), a un rendimento medio ponderato del 2,10% (dati Mef), emerge che il ser­vizio del debito nel 2011 è costato 15 miliardi a fronte di un costo di 10 miliardi nel 2010. Una differenza di oneri per lo Stato di 5 miliardi per un periodo medio di 6-7 anni.

Focalizzando l’analisi sulle emis­sioni di Btp a 10 anni, quelli su cui è stata maggiormente catalizzata l’attenzione dell’opinione pubbli­ca, i maggiori oneri per le finanze pubbliche derivanti dai titoli emes­si nel 2011 rispetto agli oneri deri­vanti dai titoli del 2010 ammonta­no a 221 milioni di euro per un peri­odo di 10 anni. Cifra ragguardevole, ma del tutto sostenibile.

Dal punto di vista della nostra po­litica economica, la tempesta degli spread ci è costata almeno due ma­novre aggiuntive. Modello: san­gue, sudore e lacrime. Quella di agosto, con effetto cumulato di 64 miliardi,tesa all’anticipo del pareg­gio di bilancio nel 2013, e quella di dicembre, con effetto cumulato di 63 miliardi, correttiva dei conti pub­blici a seguito del peggioramento della congiuntura economica. Le due manovre, che hanno innesca­to un processo recessivo, ci porte­ranno nel 2012 a una minor cresci­ta del Pil tra il -1,5% e il -2%, di un punto peggiore rispetto alla reces­sione prevista per l’area euro nel 2012 (-0,3%). Per non parlare della caduta di un governo democratica­mente eletto dal popolo.

Ultima annotazione: in Italia la bufera è stata gestita in maniera ineccepibile dal punto di vista tec­nico da parte del dipartimento del Tesoro - direzione Debito Pubbli­co - che ha utilizzato tutti gli strumenti a disposizione: programma­z­ione dei quantitativi delle emissio­ni, riacquisti di titoli sul mercato, con cambi tesi a ritirare bond in sca­denza difficili da rimborsare ed emetterne nuovi a più lunga dura­ta. Non altrettanto si può dire della gestione politica del ministro com­petente, che si è lasciato travolgere dalla bolla mediatica negativa sul Paese, sull’economia, sui conti pubblici senza opporre resistenza e senza informare governo e Paese del reale andamento della crisi, cer­tamente grave ma anche, soprattut­to, certamente sostenibile. Pure in ragione del fatto che il governo Ber­lu­sconi aveva fatto manovre corret­tive per 265 miliardi cumulati al 2014, con pareggio di bilancio nel 2013 e avanzo primario del 5%. Sa­rebbe sciocco supporre che vi sia stato un concerto dei mercati per danneggiare l’Italia, e il suo legitti­mo governo, ma è sciocco anche so­st­enere che l’esecutivo in quel momento in carica non abbia fatto il dovuto. Ha mancato, invece, di prontezza e lucidità politica, tar­dando ad avvertire il Paese su carat­teristiche e origini della crisi, non fronteggiabile con misure peniten­ziali interne e non riducibile se non in sede europea. Tale ritardo è una colpa, che origina da una precisa mancanza del ministro dell’Econo­mia, che o non ha colto la natura di quel che accadeva o ha supposto di dominarla per trarne vantaggio. I risultati si sono visti. La conclusione che si può trarre dall’analisi a posteriori di quanto è accaduto nel 2011 è che gli errori e le incertezze della governance euro­pea, e la debolezza e incertezza ita­liana nelle trattative in sede euro­pea, con la conseguente percezio­ne di confusione e instabilità tra­smessa ai mercati, hanno determi­nato probabilmente un effetto di overshooting nelle correzioni di bi­lancio, sia rispetto all’obiettivo di compensazione del maggior one­r­e per interessi sia rispetto all’obiet­tivo di graduale azzeramento del deficit .

La necessità di correggere le percezioni negative dei mercati sul­la situazione della nostra finanza pubblica hanno portato, in altri ter­mini, a sovradimensionare l’entità delle manovre rispetto alla misura ottimale, che è quella che non compromette l’obiettivo aumentando il grado di rischio derivante dalla ri­duzione del tasso di crescita atteso.

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