
Tutti pazzi per i buyback. Ci sono società che riacquistano azioni proprie per sostenere le quotazioni o per mandare un segnale di fiducia al mercato, altre li varano per far contenti i soci (insieme o in alternativa allo stacco di generose cedole) che così vedranno aumentare la redditività delle azioni rimaste. Ma negli ultimi tempi è anche aumentato il numero di chi, sia nell'industria sia nel credito (le banche sono ricche di capitale in eccesso), ha deciso di varare un buyback con l'obiettivo di preservare gli assetti proprietari. Insomma, per blindarsi. Come i tre principali azionisti di Stellantis la Exor degli Elkann, Peugeot e lo Stato francese - che hanno rafforzato il controllo sulla società e si presenteranno all'assemblea del 15 aprile con un pacchetto di voti superiore al 48 per cento. Come? Grazie al piano di buyback da 3 miliardi di euro attuato da Stellantis nell'estate 2024. Il riacquisto e la conseguente cancellazione delle azioni hanno ridotto il numero complessivo dei titoli in circolazione, da 3,1 a circa 2,7 miliardi, e di conseguenza anche il totale dei voti disponibili, da 4 a 3,6 miliardi. Restando nell'automotive, un copione simile si è visto in Ferrari dove un peso rilevante del capitale è concentrato negli Usa e fa da contraltare allo storico pacchetto detenuto da Exor e Piero Ferrari. Anche in questo caso il piano di buyback messo in pista ha portato il peso dei due azionisti in termini di voti dal 48,8% al 52%, utile per blindare il gigante del lusso da incursioni esterne.
Ma la passione non è scoppiata solo nel mondo dell'auto. La holding Lagfin del presidente Luca Garavoglia, che controlla Campari con il 51,4% (e l'82,5% dei diritti di voto) ha annunciato a settembre l'intenzione di acquistare fino a 100 milioni di euro di azioni ordinarie della società, confermando il «forte impegno a lungo termine» nel colosso degli spirits oggi alle prese con un rallentamento delle vendite e un aumento dei costi. Dai drink alla moda. Il colosso Lvmh ha acquistato una quota del 10% di Double R di Remo Ruffini che detiene una partecipazione diretta in Moncler pari a circa il 15,8%. In base ai termini dell'operazione, Double R aumenterà la sua quota fino a un massimo del 18,5% grazie al finanziamento messo disposizione dai francesi che aumenteranno l'investimento in Double R fino a circa il 22% del capitale. All'assemblea del 16 aprile i soci di Moncler dovranno deliberare anche sull'«autorizzazione all'acquisto e disposizione di azioni proprie della società» (che attualmente detiene in portafoglio azioni proprie pari all'1,5% del capitale sociale).
In chiave difensiva si possono leggere anche i piani di riacquisto varati da Mediobanca e Generali. I vertici di Piazzetta Cuccia, prima di finire nel mirino di Mps, si sono fatti autorizzare dall'assemblea un buyback da 385 milioni avviato a novembre che ha portato l'istituto ad acquistare in pochi mesi l'1,8% del proprio capitale per 216 milioni. Quanto al Leone di Trieste, di cui Mediobanca possiede il 13%, l'ad Philippe Donnet si giocherà il rinnovo all'assemblea di maggio con un nuovo piano strategico che prevede anche un buyback da almeno 1,5 miliardi, compreso quello da 500 milioni da avviare quest'anno.
La febbre ha colpito anche le due prede di Unicredit: Commerzbank ha annunciato un altro buyback da 400 milioni da completare entro l'assemblea di maggio.
Anche il ceo del Banco Bpm, Giuseppe Castagna, tra le carte giocate per convincere i soci a resistere alle sirene di Andrea Orcel, ha aperto all'ipotesi di 1 miliardo di buyback nel caso in cui il Banco Bpm dovesse ottenere l'ok della Bce per i benefici previsti dal Danish Compromise per l'Opa su Anima.
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