Zhou Xiaochuan. Il nome, per la grande maggioranza degli italiani, non corrisponde a nessuno di conosciuto. Negli ultimi mesi, invece, sta espandendo il suo già vasto impero cinese anche in Italia. Forbes, già cinque anni fa, aveva affermato che Zhou è un uomo che "l'amministrazione Obama dovrà tenere d'occhio quando gli Stati Uniti dovranno difendere il loro ruolo negli scambi mondiali". In Italia, il magnate cinese, si sta velocemente inserendo in molte grosse società. Ma chi è quest'uomo, sposato con Li Ling, una funzionaria del Commercio di Pechino? In Cina è una vera autorità. È infatti il governatore della People's Bank of China, la più grande banca del mondo.
Da solo possiede il 2% di Fiat ed è azionista anche in Telecom, Prysmian, Eni, Enel e Generali. Per capire con che velocità si sta muovendo nel mercato e nella finanza italiana, basti pensare che solo negli ultimi tre mesi il suo istituto è all'ottavo posto nella top ten dei più ricchi della borsa italiana con 3,116 miliardi di euro. Per fare un paragone con qualcosa di familiare, gli Agnelli hanno proprietà per 3,456 miliardi di euro. Zhou, dunque, in pochissimi mesi ha creato quello che gli Agnelli hanno costruito in generazioni. E il 31 luglio scorso la State Grid Corporation of China, la più grande compagnia di servizi pubblici al mondo con 1,5 milioni di dipendenti che gestisce quasi il 90% della rete elettrica cinese, ha acquistato per 2,1 miliardi di euro il 35% di Cdp Reti, una holding che controlla il 30% di Snam (società che distribuisce il gas in Italia) e il 30% di Terna (ente che gestisce la rete elettrica italiana).
Sembra, dunque, un vero e proprio investimento di massa quello messo in atto dalla Cina nei confronti delle aziende italiane. Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia-Cina, spiega a Repubblica che: "Il made in Italy è molto apprezzato a Pechino. Le operazioni viste in questa estate saranno seguite a breve da altri investimenti molto importanti". Di quali investimenti parla Romiti? Probabilmente l'ex presidente di Fiat si riferisce alla possibilità che Brillance, casa automobilistica cinese che produce Bmw in Cina, possa produrre in Italia. Il luogo indicato dal premier Renzi sembra essere quello degli stabilienti di Termini Imerese. Un investimento di Brillance nella cittadina siciliana farebbe tornare a funzionare le catene di montaggio ridando il lavoro agli operai. Giuseppe Berta, storico dell'industria e professore alla Bocconi, afferma sulle pagine di Repubblica di non vedere particolari dietrologie in queste operazioni: "In questo periodo il mercato internazionale offre agli investitori di Pechino occasioni di acquisto migliori di quanto non possa proporre il mercato intero cinese".
I cinesi si stanno insinuando sempre più nel mercato finanziario italiano.
Compratori di occasioni, alleati, salvatori o sfruttatori? Forbes aveva avvertito, già qualche anno fa, che bisognava tenerli d'occhio. Noi italiani, volenti o nolenti, ci stiamo ritrovando velocemente una porzione sempre maggiore di lingua cinese nei consigli di amministrazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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