I falchi della Federal Reserve suonano la ritirata dagli aiuti. Nessuna sfumatura di grigio, nessun dubbio, solo una certezza: l'ora del tapering è scoccata. Non solo tollerabili ulteriori rinvii, anche perché l'ala dei duri fa spallucce davanti alla recrudescenza dei contagi da Covid provocati dalla variante Delta. Si minimizza sull'impatto sull'economia causato dalla mutazione del virus per giustificare la legittimità della stretta. E, ancor prima che il grande capo Jerome Powell detti oggi la linea al simposio di Jackson Hole, Jim Bullard (St. Louis) ed Esther George (Kansas City) entrano a gamba tesa. Bullard è il più tranchant: «La Fed deve annunciare il tapering nella riunione di settembre e portarlo a termine nel primo trimestre del 2022. L'economia sta imparando a convivere con il coronavirus» e l'ultima variante «non inciderà sulla ripresa». Miss George non dà un timing, ma è convinta che l'economia non abbia più bisogno di stampelle e si possa iniziare a ridurre gli stimoli monetari: «Penso che sia appropriato, visti i progressi che abbiamo visto nel mercato del lavoro e l'aumento sostenuto dell'inflazione. Quindi sarei propensa a parlare di tapering prima piuttosto che dopo. Non significa che ci muoveremo verso una politica neutrale o più severa, ma penso che sia un primo passo».
Parole che ricalcano i contenuti dei verbali del vertice dello scorso luglio, quando la banca centrale aveva di fatto messo le basi per alleggerire la portata dei acquisti, attualmente pari a 120 miliardi di dollari. Da allora, però, la ripresa ha perso slancio. Al punto che Robert Kaplan, numero uno della banca di Dallas e fra i falchi dell'istituto centrale, aveva qualche giorno fa ammorbidito le proprie posizioni. Generali Investments prevede un annuncio formale del tapering a novembre, seguito dall'implementazione a dicembre.
Del resto, l'andamento del Pil nel secondo trimestre, salito del 6,6% nel secondo trimestre dell'anno, non conforta a sufficienza. E non solo perché il dato è inferiore alle attese degli analisti (+6,7% la loro previsione), ma in quanto il reddito personale disponibile reale, corretto per le tasse e l'inflazione, col venir meno dei sussidi federali è crollato del 31% dopo il balzo del 54,7% registrato fra gennaio e marzo. Ciò significa, in prospettiva, minori consumi e, quindi, una decelerazione della ricchezza nazionale. Dati più recenti, come il peggioramento in agosto dell'attività manifatturiera nella parte centro-meridionale degli Stati Uniti (indice calato da 41 a 22 punti) sono la conferma di un terzo trimestre ben più fiacco rispetto al quarter precedente, mentre le principali banche d'affari Usa hanno già provveduto a tagliare le stime sull'ultima parte dell'anno, adombrando il rischio che l'America scivoli in stagflazione.
Resta da capire il senso dell'intervento di Bullard e George a poche ore dallo speech di Powell in teleconferenza. Un modo per far pressione sul presidente? Un espediente dello stesso successore di Janet Yellen, che potrebbe aver mandato in avanscoperta i due falchi per vedere l'effetto che fa? Effetto, peraltro, prevedibile: giù gli indici di Wall Street (-0,2% a un'ora dalla chiusura, con l'Europa scesa dell'1,4% in scia ai timori di tenuta dell'export tedesco), su i rendimenti dei T-Bond e le quotazioni del dollaro.
Reazione da manuale, anche perché il numero uno della Fed di St. Louis ha rincarato la dose spiegando che «le preoccupazioni per la stabilità finanziaria sono una buona ragione per diminuire gli aiuti». Adesso tocca a Powell dire da che parte sta.
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