Nell'economia globalizzata delle democrazie occidentali è esploso un problema complesso da interpretare e ancor più complesso di risolvere. Si chiama Yolo. Acronimo di you only live once, che traduciamo con l'espressione «si vive una volta sola». Dietro tale concetto si cela una filosofia di vita seguita da molti giovani della cosiddetta generazione Z cresciuta nell'era digitale. Yolo sta inceppando i meccanismi tradizionali del mondo del lavoro.
I giovani sembrano indisponibili a sacrificare la qualità della propria vita sull'altare del lavoro. Per loro il posto fisso non è più un traguardo necessario da raggiungere, l'inizio della scalata per coltivare successi professionali. Anzi. Chi ha un posto fisso non si è fatto scrupolo dall'abbandonarlo. Di qui il fenomeno delle grandi dimissioni volontarie perché «si vive una volta sola». Questo sta mettendo in crisi le imprese. Capi e responsabili delle risorse umane si sono dimostrati indifesi, privi di argomenti convincenti. Il mondo imprenditoriale si trova alle prese con una nuova emergenza. Probabilmente la pandemia e lo smart working hanno fatto da acceleratori. Il ritorno alla normalità ha generato insoddisfazione e scontento in tutti. Ma, soprattutto nei giovani, ha prodotto altro: la lettera di dimissioni. La vecchia normalità è superata dalla domanda della generazione Z che intende vivere la propria vita in modo diverso, proprio perché la vita è una. Dunque? La contrapposizione fra due mentalità non può determinare alcunché di buono. Credo che il primo passo lo debbano fare le imprese. E non solo perché obbligate. Va trovato un punto d'incontro tra la cultura del lavoro e la domanda di una vita piena che reclama la generazione Z per favorire una relazione feconda.
Nel segno della valorizzazione creativa, della condivisione, del tempo speso in azienda come elemento di ricchezza comunitaria e non come fastidiosa e invasiva routine. Indietro non si tornerà. La competizione delle imprese passerà da un coraggioso passaggio culturale di questo tipo.
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